Rebeccu e Giave: Sardegna magica e leggendaria

Ti è mai capitato di innamorarti a prima vista di un luogo? Fra me e Rebeccu è stato colpo di fulmine perché possiede i tre requisiti indispensabili per ammaliare le viaggiatrici facili alla noia: è misteriosa, è antica, è disabitata.

La prima volta l’ho raggiunta per caso, quasi per sbaglio, ma la sosta è stata drasticamente breve per cui quest’anno, nel mio itinerario di viaggio che ha corso in lungo ed in largo la Sardegna, le ho dedicato un’intera giornata.

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E dato che il Meilogu è uno straccio di terra particolarmente suggestivo, l’itinerario di viaggio si è arricchito di molte altre tappe.

Ma andiamo per ordine. Prima di tutto il mese: era Agosto e il caldo asfissiante, tanto per non deludere le aspettative. La partenza da Cagliari è avvenuta la mattina presto, per quanto per me presto corrisponda, in vacanza, alle otto e mezza. D’altronde che vacanze sarebbero altrimenti?

 

Il viaggio in macchina è stato lungo su per giù tre ore, trascorse tra biscottini, musica e messaggini. La prima tappa Terralba. Aprendo lo sportello sono stata letteralmente schiaffeggiata dal caldo e dal vento di scirocco che non siamo riusciti a seminare strada facendo. Poi è stata solo meraviglia. Il nuraghe di Santu Antine è lì, perso nel bel mezzo del nulla, arso da un sole di fuoco, tozzo e forte. E’ uno dei  meglio conservati che ho avuto modo di visitare, silenzioso e magico. D’altronde chi lo ha ristrutturato con le luci ci ha saputo fare. Si scala per tre livelli, e dall’ultimo si domina una vallata profonda e gialla di grano tagliato di recente.

<<E’ quella la Pedra Mendalza?>>, ho domandato alla guida. Ha fatto spallucce confermando. <<Sì, ma non c’è niente da vedere!>> Ho sorriso, salutato quella mirabilia nuragica, e puntato verso Giave.

Giave sembra proprio il paese delle fate, solitario e lontano dal mondo. Lo si deve attraversare tutto per raggiungere la Pedra Mendalza sulla quale è vero, non c’è un bel nulla se si eccettuano gli astori che nidificano, ma intorno alla quale c’è la magia della leggenda. Ne ho scritto tanto a lungo nel mio libro “Creature Fantastiche in Sardegna”, che quella pietra vulcanica quasi mi chiamava. La leggenda vuole che fosse casa delle piccole fate sarde, le janas e già questo basterebbe a motivare la visita. Ma c’è di più.

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Si racconta che quel fine sentiero di pietra scura fosse quello attraversato dalle janas per raggiungere il mondo degli uomini, e che quella porticina, che pare distinguersi sul retro del masso, non fosse altro che il punto d’accesso al loro mondo. Diversi secoli fa lo attraversarono per l’ultima volta, dopo essere state offese dagli uomini, ma sembra che di tanto in tanto tornino a movimentare le vicende umane. C’era davvero troppo caldo per attraversare su camminu e sas fadas (il cammino delle fate), ma ovviamente è fra le cose da fare nel prossimo futuro.

In meno di mezzora di macchina ci siamo ritrovati a Bonorva, ospiti di un bellissimo agriturismo immerso nel nulla più assordante. E’ un paradiso per eletti e la notte, da quell’angolo di mondo si può ammirare un cielo più blu, brillante di stelle che altrove pare non esistano.

E’ a pochissimi passi dalle domus de janas di Sant’Andrea Priu, esempio sorprendente della genialità prenuragica, e dista pochi chilometri da Rebeccu. Quel villaggetto di sogno l’abbiamo raggiunto all’imbrunire. Sembrerà strano, ma in quel mondo disabitato c’è un ristorante che a notte fatta si gonfia di clienti sbucati fuori da chissà dove, e tutto intorno c’è un’atmosfera da fiaba. Sarà per via di quelle leggende che ancora si raccontano circa la sua storia. Perché Rebeccu non è sempre stato un villaggio fantasma. Per quanto oggi possa sembrare impossibile, nel medioevo godeva di una certa notorietà che la leggenda vuole si sia incrinata quando Donoria, principessa del luogo, fu scacciata dal padre. Non si limitò ad inveire contro il paesello, bensì Donoria, che doveva far parte della genia delle fate, maledisse Rebeccu, imponendo che non superasse mai più le trenta case. Ci doveva saper fare la principessina con le maledizioni, perché ancora oggi Rebeccu non conta trenta case.

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Poi c’è la leggenda del Castello, una suggestiva roccia calcarea che pare appunto una rocca. E’ esattamente qui che la leggenda racconta si sia sposata Eleonora d’Arborea con il consorte Brancaleone Doria. Oggi la si può ammirare dal paesello, e appare bella, proprio come un castello.

A Rebeccu ho assaggiato uno dei cannonau più ingannevoli e deliziosi che esistano e il loro piatto tipico, il pane a fittas (il pane a fette). Le ho promesso, prima di andar via, che sarei tornata presto, d’altronde al cuore non si comanda.

La mattina seguente, prima di far rientro a casa abbiamo fatto tappa a Silanus. Piccolo paesino praticamente sconosciuto, a renderlo famoso ci pensa una chiesetta che cresce a pochi metri da un nuraghe, tonda, alta e tozza esattamente come lui, tanto che paiono fratelli. Quando si dice convivenza pacifica fra sacro e profano.

Photo Credit claudia.zedda

4 Comments
  • giulia
    Aprile 24, 2012

    bell’articolo e belle foto… se non fosse per quel fastidioso copyright che rovina tutte le immagini e non serve più di tanto! perchè non utilizzi la licenza creative commons?? più moderna e anche più utile per farti conoscere e generare traffico al tuo sito, ma occupandoti di web dovresti saperlo meglio di me. è solo un consiglio… ciao 🙂

  • Kalaris
    Aprile 24, 2012

    Ciao Giulia! Grazie per il consiglio. De gustibus: non mi dispiace vedere il mio nome sulle mie foto.

  • Gavino
    Maggio 9, 2012

    Ciao,
    complimenti innanzitutto per il tuo lavoro.
    Riguardo alla presunta convivenza “pacifica” fra sacro e profano ti invito ad approfondire il tema se non dal punto di vista filosofico almeno dal punto di vista storico. Buona giornata.

  • Kalaris
    Maggio 9, 2012

    Ciao Gavino! Grazie mille.
    Visitando la zona ho avuto questa sensazione, di un’insolita convivenza pacifica possibile. Reputi le cose non stiano esattamente così? Grazie per lo spunto, approfondirò certamente. A presto!

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