Fiori senza confini: racconti di donne a Baradili

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Non te l’ho raccontato prima che questa domenica sarei stata a Baradili, ma chi ha avuto tempo alzi la mano. E allora per farmi perdonare scrivo questo post.

La primavera sta tornando e con la primavera tornano anche gli appuntamenti in presenza. Sarò sincera, anche ad un orso come me, sono mancati.

Ieri ad esempio ho trascorso una mattinata davvero avvincente. A Baradili abbiamo parlato di donne, ma soprattutto abbiamo parlato fra donne (e uomini) e la Dea solo sa quanto ce ne sia bisogno.


Le donne devono dirsi molte cose. Di donna in donna, di donna in ragazza, di madre in figlia, di grembo in grembo.

Casilda Rodríguez Busto

Claudia Zedda

Ho ritrovato professionisti e professioniste che stimo tantissimo e ho conosciuto persone davvero stimolanti. E io amo le persone stimolanti. Quelle che mi fanno capire che ho ancora un sacco di cose da scoprire.

Prima del mio intervento ero un po’ emozionata, te lo confesso: lo sono sempre quando devo parlare in pubblico, ma questa volta lo ero un pizzico di più per un motivo abbastanza semplice: ho scelto di aprire la mia discussione con un argomento un po’ impegnativo. E tutti, o quasi me lo avevano sconsigliato.

Ma niente, sono testarda. Poco prima di iniziare a parlare ho guardato il pubblico davanti a me, era davvero numeroso. Ho pensato che fosse stato anche e solo per una persona, quella conversazione dovevo farla.

E l’ho fatta.

La condivido anche con te perché nei 10 minuti di chiacchierata con Giuditta Sireus, Direttrice Artistica del club Jane Austen Sardegna, abbiamo parlato di Matrice, di donne di Sardegna che mi ispirano, e magari ispireranno anche te, e di scopo della vita che ci rende felici.

Buona lettura.

Giuditta Sireus: Se ti dicessi la parola donna, tu che cosa mi risponderesti?

Claudia Zedda: In questa fase della mia vita ti direi matrice. Ho appena concluso con un ciclo di seminari incentrati sulla matrice: vulva, vagina, utero. E credo che la matrice sia stata la nostra grande benedizione e la nostra incredibile maledizione.

Per merito del fatto che siamo portatrici sane di utero siamo state raccontate divine. Mi spiego: gli uomini del passato portavano con sé gadget apotropaici che riproducevano donne in miniatura. Un po’ i cornetti di oggi. Solo che non erano corni, erano donne.

E la donna era ritenuta sacra perché possedeva un utero: ma non fraintendetemi. Non solo perché poteva generare vita. La donna era ritenuta sacra perché rappresentava il macro nel suo micro. Guardando la donna si capivano le lunazioni (ciclo mestruale), guardando la donna si capiva la terra dalla quale sgorga vita ma che la vita sa anche riprendersela, custodirla e poi proporla per la rinascita. Guardando la donna si spiegava il mare: come la donna la terra ha un utero, e il suo utero è il mare.

L’utero della donna dava un potere infinito: ma era un potere che nemmeno lei poteva gestire, ma che alle società maschiocentriche faceva gola. Quando la società, da gylanica diventa patriarcale, per disporre a loro piacimento di quell’utero, una vera miniera d’oro, sono state create moltissime gabbie per la donna, materiali ed immateriali. E si è iniziato a raccontare una marea di storie fuorvianti sul ciclo mestruale, sulla madre, sulla donna, sull’utero. Storie alle quali anche la donna ha iniziato a credere. Tipo che quando è mestruata conduce morte e che l’unico modo per una donna di crescere figli sani e belli è quello di rinunciare ai propri sogni.

Da benedizione il nostro favoloso utero è diventato maledizione. E noi ce lo siamo dimenticate. Abbiamo smesso di conversarci. Di entrare in connessione con lui.

Ma la cosa che vi voglio raccontare oggi è questa: partendo dalla matrice, ripercorrendone la storia, cercando di comprenderne i significati, oggi possiamo comprendere il nostro passato e scrivere un futuro migliore per noi e per i nostri figli.

Per cui se penso alla donna penso alla matrice e se dovessi dire la matrice con un’altra parola direi origine. Per cui donna è l’origine… di un sacco di cose.

Giuditta Sireus: Quali sono le donne della Sardegna, donne della letteratura che ispirano il tuo studio e il tuo lavoro?

Claudia Zedda: Rischierò la banalità. Ma sì per Grazia Deledda posso rischiare. Sento molta affinità con Grazia Deledda. Sorvolando sull’ostinazione e la perseveranza penso spesso che siamo partite dallo stesso punto: il mito di Sardegna. E quel mito ci ha stregate. I nostri libri sono pieni di mito. I nostri lavori sono pieni di mito.

Donna Francesca Sanna Sulis mi è di grande ispirazione. Ha fatto una cosa che io amo fare: dei suoi talenti e delle sue passioni ha fatto un lavoro. Il modo migliore per occuparsi dei propri affari senza la riprovazione familiare: sto lavorando! Lei però è andata oltre: ha costruito un business tessile che ha coinvolto molte donne. Ha creato un modello che mi piace moltissimo e che sto cercando di copiare.

Non era una scrittrice ma a suo modo è stata un’artista. Non so se voi conosciate la Sibilla Barbaricina, Elisabetta Lovico. Ma se non la conoscente… perché non la conoscete? La racconta poeticamente Joyce Lussu che la incontra per merito di Raffaello Marchi. Tra le tante cose interessanti che Joyce Lussu scrive di Elisabetta Lovico questa mi ha condizionato la vita: è una donna intera. Non so cosa intendesse Joyce Lussu con il termine intera, ma io da grande vorrei essere descritta così: una donna intera.

Amo di un amore viscerale Luisa Orrù: è stata una notevole antropologa sarda che in un mondo di uomini ha fatto un’antropologia alla maniera delle donne. Ha parlato di streghe, di guaritrici, di erboriste, di etnobotanica e ha offerto a loro dignità. Ha offerto a tutto il mondo materiale e immateriale femminile grande dignità. Credeva fortemente nella Sardegna, nell’etica del suo lavoro al quale affidava una missione chiara: raccontare un’isola meravigliosa e maltrattata da molti.

Nereide Rudas: l’eleganza e la saggezza.  Mi ha insegnato a guardare dentro le apparenze. Perché parlava dei Sardi e della Sardegna con amore e disincanto. E questo è un insegnamento prezioso. Perché se ami troppo qualcosa o qualcuno, rischi di non essere obiettivo. Nereide è quella Zattera che mi consente di vedere, per quanto possibile, la Sardegna da fuori.

Giuditta Sireus: Che cosa, secondo te, è importante che le donne conoscano e recuperino in questa società affollata, veloce e talvolta distratta?

Claudia Zedda: Se stesse. Mi spiego meglio.

Vaghiamo dall’adolescenza alla menopausa facendo cose a caso, il più delle volte per soddisfare le aspettative altrui o per adattarci ad un modello di madre, moglie, o donna che è insostenibile. Quando poi fai la fatidica domanda: sì, ma la tua missione qual è? In poche sanno dare una risposta.

La conoscenza di sé stesse e della propria missione. Ciascuna di noi ne ha una, le più fortunate due.

E quando sappiamo il cosa, lo dico per esperienza, il come diventa un dettaglio.

Grazie di cuore a Maria Anna Camedda, sindaca di Baradili, ad Antonella Canu, sindaca del comune di Lodé, a Maria Corda artigiana, a Miriam Melis, Neuroscienziata e Farmacologa, a Maria Francesca Serra imprenditrice, a Elisabetta Scanu Assessora alle politiche giovanili e attività sportive del Comune di Baradili, a Emanuela Atzori, ad Arianna Mattana e Fabio Corda, Consiglieri comunali del Comune di Baradili, a Luigi Fregapane Musicista, a Nicola Dessì Archeologo a Gabriela Podda Presidentessa del Club Jane Austen Sardegna e Giuditta Sireus Coordinatrice e Direttrice Artistica del club di Jane Austen Sardegna.

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