Gola del Gorroppu: il ventre della Dea

 

Sono rimasta a lungo a guardare il cielo sprofondata nella Gola del Gorroppu. La leggenda che racconta di pareti tanto alte da mostrare il cielo notturno anche durante il giorno è appunto solo leggenda, ma mi sono gustata la corsa delle nuvole che andavano da una parete all’altra del canyon mentre nel suo fondo non si muoveva una mosca: solo il cuore della Dea Madre pulsava.

Per la mia personalissima sfida-escursione al Gorroppu ci ha fatto da guida Claudio della cooperativa Ghivine. Bene penso io, almeno non dimenticherò il suo nome, cosa che per altro mi accade tutte le volte. E’ un ragazzo di 28 anni, conosce la zona come le sue tasche e guida il defender come se non avesse fatto altro nella vita.

Dal cuore di Dorgali la gola del Gorroppu non è esattamente vicina e sfido chiunque a percorrere le strade che abbiamo attraversato senza fuori strada e conoscenza del luogo. La levataccia a grande sorpresa non mi ha pesato nemmeno per un momento tant’è che sto prendendo seriamente in considerazione il fatto di svegliarmi tutti i giorni alle 6.30: vero è che stare davanti al pc è cosa ben diversa dal calarsi nel ventre opalescente della Dea.

Claudio è stato un’ottima guida: un ragazzo concreto che non ha perso l’occasione per darci informazioni utili: la vallata di Oddoene, ci ha spiegato, è la riserva di carburante degli abitanti del posto. Per carburante, è chiaro, intende il delizioso cannonau che producono in zona. Il comune in tempi non sospetti, per dar la possibilità anche ai più poveri di sopravvivere, diede loro la terra da coltivare: la vallata di Oddoene è per questo diventata una culla verde di vitigni e alberi da frutto. Mentre l’attraversiamo qua e là si intravedono schiene chinate e mani impegnate nella vendemmia. Una bella vallata, ci dice Claudio, perché l’umido della notte rimane sino alle nove del mattino, favorendo, a quanto si può notare, l’intera produzione.

Caricata l’ultima escursionista (siamo un gruppetto di 5 persone) puntiamo diritti verso il ponte di S’abba Arva o Sa Barva come mi è parso essere chiamato comunemente sul posto. Le pozze d’acqua sono d’un verde marino, tanto intenso che pare innaturale, ritoccato in fase di post produzione da madre natura. E invece no, è tutto vero! Il fiume che a fine settembre sembra mansueto e pacato pare che durante la stagione delle piogge si inca…voli di brutto, tant’è che dopo essere stato portato via parecchie volte dalla corrente, il ponte è stato costruito in cemento e ferro. La stagione scorsa la natura s’è contentata di portar via solamente i passamano laterali, in ferro anch’essi, ma il ponte è ancora lì.

La strada mi pare buona ma i racconti di Claudio mi fanno pensare che di lì a breve le cose peggiorano. In effetti, immediatamente dopo aver superato un cancello privato, la strada si fa mulattiera. Ringrazio la Dea che la nostra guida  ci sappia fare con le marce e ci arrampichiamo come una piccola formicuzza spennellata di bianco. A mezza strada qualcuno urla “al muflone”: ci affacciamo tutti e tutti ne vedono uno, due, tre, addirittura un gruppetto di mufloni che stanno bevendo. Tutti li vedono, tranne la sottoscritta, ma Madre Natura con me è sempre generosa: qualche metro più tardi ne troviamo uno proprio per strada che manco troppo spaventato con due salti si arrampica su per la montagna. Il mio primo incontro ravvicinato con un muflone!

Continuiamo a salire e il paesaggio comincia a somigliare sempre più a quello intravisto nelle montagne di Baunei: in fondo non siamo così distanti: calcare, macchia mediterranea, lecci e una quantità praticamente infinita di corbezzoli dai fiori dei quali la gente del luogo, laboriosa, da sempre estrae il pregiatissimo miele amaro.

Parcheggiato il defender proseguiamo a piedi per una discesa notevole; il sottobosco è profumato e ricco: rosmarino, elicriso, ginepri, caprifichi, phillyrea latifolia, cipolla di mare, quella che nelle nostre zone chiamiamo sa lua, un’euforbia utilizzata un tempo per la pesca e pure una pianta della quale non ricordo il nome, usata insieme all’erba di San Giovanni (l’iperico nella zona) e chissà che altro contro le bruciature. Sentiamo il rumoreggiare di qualche altro muflone (o forse cinghiale), il passaggio di qualche gatto selvatico, e lo scampanellio allegro delle capre scalatrici: meglio, siamo sotto l’occhio attento della capra più anziana, che controlla ogni nostro passo!

Chiacchierando chiacchierando sprofondiamo giù fin all’ingresso della Gola: nel bel mezzo del nulla si incontra, come un’oasi di civiltà, un piccolo info ticket. Mi domando come diavolo facciano  quei ragazzi ogni giorno a raggiungere la postazione di lavoro! La ragazza è simpatica e sembra conoscere perfettamente Claudio che non perde tempo e avanza: per scendere abbiamo impiegato quasi un ora, forse di più. L’ingresso (o l’uscita) del Gorroppu si fa subito sentire! E’ silenziosa, e fra le sue pareti rimbomba il battito di ali di non so quale uccello.  Le pietre calcaree sono pallide e lunari, bluastre e levigate da milioni di visitatori che negli anni le hanno attraversate. Più avanzo più ho la sensazione d’avvicinarmi al cuore di una creatura vivente. E il Gorroppu in fondo è vivo perché il canyon fra i più profondi d’Europa, ogni anno cambia. A restituirgli forma ci pensa il  Rio Flumineddu che di piccolo quando scorre non deve avere un bel niente visti i massi giganteschi che è capace di trasportare. Quando attraversiamo noi la Gola il Flumineddu è drummiu[1], e scorre sotto terra.

 

Il cuore del Canyon lungo 1,5 km lo abbiamo raggiunto rapidamente: lì le pareti sono incredibilmente alte, aranciate e ferrose, colate di scuro quasi che il cielo notturno, lacrimando le abbia macchiate. Si estendono per 500 metri in altezza e pare che qualche folle le abbia pure risalite.

Se hai la fortuna d’essere lasciata sola con il Gorroppu, la puoi sentire realmente, nel silenzio la sua forza e vedere mille e una rappresentazione della Dea che ci ha generati tutti.

Il letto del fiume pare una spiaggia grossolana di ciottoli tutti levigati e friabili, su alcuni dei quali incise si possono trovare le reminiscenze storiche di milioni di anni fa.

Sono rimasta a lungo a guardare il cielo sprofondata nella Gola del Gorroppu. La leggenda che racconta di pareti tanto alte da mostrare il cielo notturno anche durante il giorno è appunto solo leggenda, ma mi sono gustata la corsa delle nuvole che andavano da una parete all’altra del canyon mentre nel suo fondo non si muoveva una mosca: solo il cuore della Dea Madre pulsava.

Non ho trovato nemmeno la felce maschio, il cui fiore se raccolto di notte a mezzanotte regala la possibilità di fuggire per sempre alla giustizia, o rende dannatamente ricchi. Al posto del felce maschio ho intravisto la Aquilegia nuragica o Aquilegia di Gorropu: cresce solo nella Gola più suggestiva di Sardegna ed è fra le 50 specie più a rischio estinzione in tutto il Mediterraneo.

Con un certo dispiacere ho salutato quel mondo misterioso, il tasso e la Phillyrea latifolia millenari e mi sono dedicata alla risalita (una faticaccia che non te la racconto). Di me ho lasciato un pezzo di cuore nel fondo del Gorroppu, si sé il Gorroppu ha lasciato un pezzo di vita nel mio cuore.

Su d’una vetta panoramica, riparati dal sole, Claudio ci ha servito un delizioso pranzo a base di moddizzosu (il tipico pane locale), salsiccia e formaggio. Il cannonau non poteva certo mancare!

40 euro davvero ben spese!

 @Kalaris

 


[1] Addormentato

4 Comments
  • Franco
    Settembre 24, 2012

    ma la vostra guida vi ha spiegato come si pescano i pesci utilizzando “sa lua”?

  • Kalaris
    Settembre 24, 2012

    Sì, è stato molto chiaro. Io dopo una bella escursione a Tuvixeddu già ne sapevo qualcosa. Lua e Alluau è una connessione che non dimenticherò facilmente 🙂 Cosa non si impara a girar per Sardegna!

  • Roberto Copparoni
    Novembre 7, 2016

    Puoi ricordare chi era la Guida?

  • Kalaris
    Novembre 16, 2016

    Purtroppo il nome non lo ricordo. Mi spiace. Ma un ragazzo squisito.

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