Il riso sardonico

 

Maschera

L’erba sardonica rappresenta ancora oggi un mistero, dato che ancora non sappiamo quale erba, gli antichi nuragici ritenessero sardonica. Pausania la ricollega cicuta, sottolineando che era molto similare al prezzemolo. Molti insistono che si tratti dell’euforbia, il cui lattice bianco e amarissimo doveva essere probabilmente passato sulle labbra.

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Assorbito il liquido il volto sarebbe stato sfigurato in un riso innaturale e forzato. Questo sarebbe stato necessario per affrontare con un certo coraggio, e ampio stoicismo la morte cui si andava incontro.  

Il glottologo Giulio Paulis crede di identificare l’herba sardonia nella Oenanthe crocata che riduceva le sofferenze dei vecchi e ne accelerava la morte; è vero infatti che le sostanze tossiche in essa contenute provocherebbero non solo la chiusura delle labbra, ma sfigurerebbero la smorfia tanto da porre in vista i denti e rendendo la faccia una maschera atroce, propria di chi ride sardonicamente. L’erba è nota pure con il più suggestivo nome di prezzemolo del diavolo.

oenanthe-crocata


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Riso sardonico: tappe storiche.

Omero è stato il primo autore classico ad utilizzare l’aggettivo sardonico nel ventunesimo libro dell’Odissea. Ulisse, a seguito dell’offesa subita da parte di Ctesippo, uno dei pretendenti di Penelope, ride in modo sardonico, racconta Omero, consapevole del destino di morte che attende Ctesippo e i suoi rivali.

Il poeta lirico Simonide racconta in un componimento andato perduto: Talo, prima di giungere a Creta, risiedeva in Sardegna dove uccise molti che li risiedevano; le vittime nel morire, mostravano i denti. Da ciò l’espressione di riso sardonio.

Usi rituali.

Si è spesso discusso in merito all’uso dell’erba sardonica in merito a rituali quali il geronticidio. Specialmente ci si è domandati se l’uso fosse proprio dei sardi o importato. Alcuni propendono per la soluzione fenicia, che sarebbe da screditare se se si tiene conto del fatto che le prime attestazioni del riso sardonico, sarebbero attestabili intorno all’VIII secolo a. C. , periodo nel quale, i fenici avrebbero stanziato le prime colonie in Sardegna. E’ improbabile che usi e riti così particolari abbiano attecchito in meno di pochi decenni e che questi siano stati raccolti da poeti della levatura di Omero.

Se si fosse trattato di un uso fenicio, con probabilità  anche il nome sarebbe stato diverso e anzi che sardonico, alla storia sarebbe passato il nome di riso tirio o riso sidonio o riso punico. E’ quindi possibile che il rituale e l’uso dell’amaro lattice, che produceva una smorfia innaturale, sia totalmente sardo.

Osservando la maschera ghignante proveniente da Tharros, sono tentata di vedere in questa la rappresentazione plastica del riso sardonico. Un viso sfigurato da un riso innaturale, gote e tempie calcate da tatuaggi, o da rughe. Un vecchio forse , inpreda ad un moto ilare insolito. L’associazione è però alquanto complessa, visto che il riso sardonico è fenomeno attestato per la realtà  sardo nuragica, e dunque difficilmente associabile alle maschere fenicie.

Maschere che visivamente richiamano quelle carnevalesche, ancora oggi usate in Sardegna, che secondo alcuni studiosi sardi sarebbero il ricordo atavico del medesimo e antico riso.

Residui tradizionali.

Il ricordo del riso sardonico è presente anche nei più comuni modi di dire sardi.

Nel campidanese è comune la frase dialettale s’arrisu de is crabittus o de is angionis de pasca che letteralmente è traducibile con: il riso dei capretti e degli agnelli di pasqua. Augurio tristo, che fa riferimento sarcasticamente al riso ben tristo dei capretti e agnelli in tempo di festa, pronti alla morte.

Altro detto d’interesse è questo: s’arrisu de s’arrenara, arrutta a terra e squertarara, che traduciamo come il riso della melagrana, che si sfascia appena caduta a terra.

I riferimenti a queste particolari forme di riso, ancora presenti nel territorio linguistico sardo, debbono far certamente pensare all’importanza ancora viva a livello di residui tradizionali, del ben più antico riso sardonico.

Per approfondimenti “Creature fantastiche in Sardegna”.

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