Le Janas (Circolo Nefertiti)

Le Gianas e le Signore di Donnigazza

Le Gianas erano piccoline piccoline e vivevano nelle case delle Gianas, in Trempu e in San Giovanni. Erano molto belle e si vestivano di rosso con un fazzoletto fiorito e con le collane d’oro. Cucivano e filavano e lavoravano nella loro terra. I mobili presenti nelle case, erano piccolini come le Gianas.

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Queste vivevano appartate dalle altre donne ed erano molto religiose; la chiesa loro era come la nostra. Siccome le Gianas erano molto ricche, nei loro giardini sono state ritrovate molte cose di valore. Quando nonna era giovane le capitò di incontrarne una che l’aveva toccata e l’aveva interrogata sul dove andasse e se volesse seguirla; nonna raccontava di aver temuto e di aver detto di no. Questo sarà  accaduto novant’anni fa. Le Gianas, quando vennero i pisani, a poco a poco si dispersero, ma le loro case si trovano ancora là .

Centottant’anni fa, vivevano le signore di Donnigazza nel rione che si chiamava appunto di Donnigazza. Le case loro erano fatte come i nuraghi, ma molto più grandi e si trovavano in mezzo al giardino. Non uscivano quasi mai se non per stare nel proprio giardino. Alla domenica seguivano la messa  presso il convento dei frati francescani e finché le signore di Donnigazza non arrivavano, i frati non cominciavano la messa. Si vestivano di lino e di panno che tessevano esse stesse, ma le gonnelle le ricamavano a colori con filo che ordivano personalmente, ai piedi portavano le babbucce ricamate queste pure, in testa indossavano un fazzoletto bianco e sotto portavano una cuffia con nastri. Avevano grandi tesori e usavano sotterrarli sotto il pavimento delle case; il lavoro loro era quello di filare, tessere e  ricamare. Quando vennero i pisani scomparvero.

La montagna di Sinis

Un contadino di Cabras, ricorse ad una fata, per ottenere una mandria di vacche, ed essa stando sopra un nurache della montagna di Sinis, si levò di tasca un pugno di frumento e lo sparse. Non appena ogni granello toccava terra diventava una vacca che figliava un vitello, nero come la madre. Ma le bestie dopo poco tempo sparivano. Il contadino se ne lagnò con la fata. Ebbene, ella disse, se non vuoi che le bestie spariscano, toccale con la mano, e fa loro sulla schiena un segno della croce. Il contadino così fece e le bestie non scomparvero, conservando nel pelo nero il segno della bianca croce. Il contadino che raccontava questa novellina diceva che in Cabras la mandria della fata esisteva ancora, perché si era recitata la preghiera della croce e vi si era posto mano. Il che è vero: chi s’aiuta, Dio l’aiuta, e qualunque impresa procede bene, ponendovi mano.


Tratta da Bottiglioni Gino, Leggende e tradizioni di Sardegna, 1922 (Rivisitata da Claudia Zedda)

Tratta da Ferraro Giuseppe, Canti popolari sardi in dialetto logurdorese, 1892 (Rivisitata da Claudia Zedda)

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