Tiliccas: origini, curiosità, ricetta

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Tiliccas: origini, curiosità, ricetta

Le tiliccas non fanno parte della mia tradizione gastronomica. Nonna non le preparava, mamma non le conosceva, eppure a me sono piaciute a prima vista. E’ strano, mi sono venute bene fin da subito, e il dolce mi è sembrato immediatamente familiare.

Credo sia stato merito delle mandorle: qui in casa da sempre se ne fa una gran scorta in autunno. Ricordo mamma che ne comprava sacchi interi, che poi conservava gelosamente in qualche nascondiglio sicuro. Io e mia sorella, da bambinette, eravamo peggio di piccole cavallette, e le mandorle erano meglio lontane dagli occhi, lontane dal cuore, ma soprattutto dal palato.

Certe cose non cambiano: faccio anche io grandi scorte di mandorle in autunno, che sì, anche mia figlia adora. Presto, e questo mi fa sorridere, dovrò iniziare a trovare un buon nascondiglio.

Tiliccas: nomi e luoghi

Tiliccas non è l’unico modo nel quale vengono chiamate: ci sono le tiriccas, tericcas, tziliccas, cucciulendi e meli, caschettas, cotzuli, fraones, seddines, panigheddos e le preparano per tradizione nella Sardegna centrale e settentrionale. Oggi però le prepariamo un po’ ovunque: guarda me.

La cosa davvero interessante di questo dolce che uno tira l’altro non è la preparazione o il gusto (non solo ovviamente) ma il nome. Tiliccas: ti sei mai chiesto cosa significhi?

Giulio Paulis sì, e la risposta per me è più che convincente.

Il glottologo vede tiliccas e tutte le sue varianti derivare direttamente da Siliqua con il quale termine si intendeva il frutto della carruba. A pensarci bene in effetti il dolce somiglia al frutto: c’è la forma arricciata, il colore, e anche il sapore dolciastro.

I tempi delle tiliccas

Le Tiliccas sono prevalentemente un dolce autunnale ed invernale: si preparavano in Ognissanti, durante la commemorazione dei defunti, ma anche per Sant’Antonio Abate, Natale e in alcune circostanze per festeggiare la Pasqua.

Tiliccas: la ricetta

A questo punto la ricetta.

Per confezionare il cestino di “pasta violada” pasta lavorata amalgamando semola di grano duro e strutto, ti serve:

  • 1 kg di farina semolata tipo granito
  • 250 gr di strutto
  • acqua tiepida

Per su “pistiddu” invece devi amalgamare:

  • 250 gr di farina semolata
  • 150 gr di mandorle dolci sgusciate e trittate
  • 1/2 lt di saba
  • la scorza di 2 arance

La consistenza del pistiddu è densa e lavorabile. Una volta stesa la pasta ritaglia lunghi triangoli con la rotella (s’arrodixedda). Puoi optare per quella semplice o quelle più lavorate che creano giochi barocchi con la pasta.

Al centro posiziona il ripieno, solleva i bordi e dai la forma che preferisci. Normalmente si presentano in forma di ferro di cavallo, anello, lettere, barchette e giù di lì, ma tu puoi dar sfogo alla tua fantasia.

Informa per 15 minuti a 150 gradi e la Sardegna è servita.

 

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