Lo strano caso di Giuseppe Biasi

Lo strano caso di Giuseppe Biasi

Giuseppe Biasi  è uno di quegli strani casi d’artisti mai scoperti. E nel ritrovarlo un po’ per caso, un po’ per gioco, rinasce lui e la sua pittura, che ebbe come unica colpa quella si sbocciare in tempo sbagliato.  Contraddittorio, incomprensibile, enigmatico questo è quello che raccontano di lui. E l’incoerenza tra persona e opere è tanto grande che incuriosisce e invita a scavare. Diversamente dal personaggio, i suoi disegni, i suoi ritratti sono netti,  chiari nelle linee, privi di incertezze, orfani di sfumature o insicurezze.

 

E’ scavando che si scopre un Biasi nutrito di cultura internazionale, i cui interessi rimasero comunque e sempre ancorati alla piccola isola che gli diede i natali, la Sardegna. Si curava poco del dintorno: si trovava a proprio agio all’interno dei salotti romani e milanesi, e non stonava nemmeno quando rubava l’essenza di un pastore o di una contadina.

Il pittore dimenticato, mai svelato che mi ha rubato il cuore, ha operato agli esordi del novecento. Una cornucopia ricca di colori, che nessuno ebbe il coraggio di rompere. Di buona famiglia, fu indirizzato agli studi giuridici. L’arte lo reclamò giovanissimo. Sperimentò la xilografia e il disegno, ma rimase sempre fortemente innamorato della tempera.

 

Gli sfondi scuri erano quelli che lui diceva di prediligere, quasi che dall’ombra si dilettasse a trovare le luci, si divertisse a creare il colore.. < a me riesce meglio se la gonna fosse scura, o nera addirittura, di comprirla in scuro e poi schiarirla, con venature di chiaro..>

 

Tutta la sua opera ebbe come intento quello di regalare nuova dignità  a quella terra che umiliata da millenni di altrui dominio, aveva dimenticato la propria identità. L’uomo e il pittore lo fecero raccontando con tratti di matita e tempera la quotidianità  sarda e la suggestione degli eventi speciali. Ne lo “Sposalizio a Nule” la tensione e il timore del momento lo vedi davvero nel volto della sposa, e nell’occhio dell’uomo sposo non sfugge tutto l’orgoglio di una razza, quella sarda, che Biasi si consumò nel raccontare.

Le sue donne appaiono austere ed imprendibili, belle ma non raggiungibili. Eteree. Timide ma al contempo curiose di scrutare l’estraneo. Disegna con maniacale precisione di particolari i ricchissimi  abiti ed è quasi per caso che l’amuleto consueto, la punga, blu e stellata salta all’occhio, abbandonata sul petto giallo d’una donna sposata.

I colori, i ricami, i tessuti mi catturano.

Li si potrebbe ricalcare per ore con lo sguardo. Il contrasto inaspettato, la varietà, l’imprevedibilità, mi hanno rapito fin dal primo sguardo, e tracciano una realtà esaltata, nella quale non troverà mai posto il  banditismo, la malaria o la povertà. L’accusa di travisare la realtà isolana gli fu rivolta spesso. Qualcuno lo accusò di raccontare Sardegna con colori che non esistevano. E’ un’accusa che qualcuno ha rivolto anche a me e mi vien da sorridere. Biasi uomo, Biasi pittore, colorava Sardegna dei colori che lui intravedeva. Uomo di città, era riuscito ad assaporare il primitivo che altri artisti dovettero trovare lontano dalla propria terra; primitivo che Biasi incontrò nascosto negli irremovibili borghi dell’entroterra sardo.

 

Innata in lui la capacità di fermare l’attimo. I protagonisti delle sue storie l’osservano sempre. Anche se di fuggita. Persi fra i momenti della vita quotidiana, interrompono il proprio andare per ascoltare la richiesta di lui. Un cheese lungo un attimo, trascorso il quale immaginiamo che le lavandaie rincasano a portar la roba pulita, i pastori riprendono a pascolare il proprio gregge, la donna a recitare il suo rosario, e il venditore ambulante a strillare che le arance vendute da lui, sì, sono le più buone.

Uno strano caso quello di Giuseppe Biasi, di un pittore mai scoperto, che saprà sempre ipnotizzare chi per caso ne rivedrà i sogni, impressi in tela.

 

Scritto per Heurema.net

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