Sardegna: erbe magiche che nutrono, erbe magiche che curano

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Il mondo delle erbe, spontanee o coltivate, in Sardegna come in molte altre realtà agricole e pastorali si vincola strettamente alla vita di chi le raccoglie, di chi le lavora e di chi le utilizza.
In gran parte sono edibili, sono curative, alcune persino magiche e fino a non molti decenni fa erano una delle maggiori fonti di cibo cui avevano accesso i sardi e le sarde. Molti informatori oggi anziani ci tengono a sottolineare quanto siano state importanti per loro in età infantile.

Signora Agnese, originaria di Villasimius, oggi residente in Castiadas, casalinga, ricorda come “ogni stagione aveva le sue erbe e tutte ci sembravano buone, perché a quei tempi c’era fame”. E ancora: “Ci aiutavano a sopportare la fame, molto di quello che trovavamo in campagna lo
mangiavamo fresco e appena raccolto. Erano più spesso le ragazzine a raccogliere le erbe che venivano ut ilizzate per la preparazione di pietanze familiari. Le persone più povere invece le raccoglievano per sé e per chi gliele acquistava
”.
Agnese ricorda anche di come la campagna fosse non solo un supermercato a cielo aperto, povero e sempre presente, ma anche una farmacia disponibile per la cura di qualsiasi male.


Il mal d’orecchio lo curavamo con s’arruda (la ruta). La facevamo soffriggere nello strutto a fuoco basso e poi il liquido veniva fatto colare sulla parte dolorante. Mi ha curato così mia madre, e io ho curato alla stessa maniera i miei figli”.

Appare chiaro il rapporto di dipendenza, necessità e fiducia che un tempo legava i sardi al proprio territorio.


Raccolta e riconoscimento delle erbe spontanee


La raccolta delle erbe per utilizzi alimentari familiari e medici era di competenza femminile, ma anche gli uomini raccoglievano, conoscevano e selezionavano le erbe idonee a qualsiasi occasione.
Salvatore, il marito di Agnese, pastore oggi in pensione, mostra tutte le volte che glielo si domanda, con estremo orgoglio e molta nostalgia, alcune delle erbe che un tempo si consumavano. “Alcune me le sono dimenticate, altre, quelle che mi piacevano di più o che usavo più spesso le ricordo ancora”.
Ancora oggi, quando le ginocchia glielo consentono raccoglie il crescione (nasturtium officinale) (nastruzzu de riu e altro) per insalate fresche, è in grado di mostrare l’ortica, su pizziadori e altro (che alcuni mangiavano ma non lui) e la lavanda selvatica con l’elicriso, usate per abbrustolire (abbruschiai) il maiale.


Quando le erbe erano raccolte in qualità di medicina le attenzioni aumentavano: la raccolta avveniva in momenti particolari dell’anno e della giornata e in condizioni attentamente selezionate. In genere si aveva consapevolezza del tempo balsamico di ciascuna pianta: queste venivano raccolte nel momento in cui era presente contenuto di principi attivi migliore, e non necessariamente il maggiore. Genericamente questo significava raccogliere le erbe durante il ciclo di San Giovanni
Battista, tra il 2 3 ed il 29 di giugno.
Le erbe venivano raccolte all’alba o al tramonto, in zone selvatiche precedentemente studiate e analizzate. Solo in rari casi si decideva di coltivare nel proprio giardino le piante spontanee: questo accadeva ad esempio per il finocchietto selvatico (foeniculum vulgare) (in lingua sarda fenùgu bonu e anche matafaluga e altro ), specie comunissima nell’isola, ma dalle forti connotazioni magiche. Era medicina ma anche ingrediente insostituibile della vecchia gastronomia sarda. In alcuni casi le erbe si raccoglieva in luna calante: si riteneva che esattamente come la luna calante, anche i sintomi della malattia affrontata con quella particolare erba sarebbero “calati” e la malattia risolta.

Le erbe raccolte potevano essere conservate (essiccate, in olio, in aceto, in vino, in grappa, in strutto) o usate fresche. In questo caso potevano essere battute legno su legno. Le informatrici dicono che una delle basi più idonee era sa mesa ‘e su pani (il tavolo impiegato per la panificazione). Vista la sacralità che circonda la preparazione del pane, è facile immaginare che anche le erbe godessero della stessa stima.
In genere ogni erba poteva essere considerata in base all’occasione alimentare, curativa, aromatizzante o magica.

Erbe alimentari, curative e magiche


Colpa tempo e spazi, siamo obbligati a ridurre drasticamente il numero delle erbe spontanee che un tempo venivano raccolte, optando per quelle che ancora oggi godono di un certo apprezzamento.
L’asparago (asparagus acutifolius ) in lingua sarda sparau aresti , era ieri come oggi particolarmente apprezzato a livello alimentare, cotto sotto la cenere calda, o soffritto su padella con l’aggiunta di uova (sparau a ischischionera), in frittata (turta de sparau) o in risotto con l’aggiunta di
finocchietto, bietola e cicoria di campo.
Un tempo venivano usati anche come diuretici e per la cura dei calcoli renali. E’ curioso ricordare che con i rami della pianta si creavano delle scope adoperate dalle spigolatrici nelle aie.


La bietola (beta maritima selvatica, beta vulgaris coltivata) è un’altra pianta nota e usata in tutta l’isola per scopi squisitamente alimentari.
Erano usate lessate per la preparazione di frittate o per la realizzazione di ravioli ripieni (kulingònis de èra , ma anche generica mente is kuluxònes).

Le bietole finivano spesso all’interno di zuppe o risotti e in più rari casi era utilizzata a scopo terapeutico. In uso esterno poteva essere utile come
emolliente, decongestionante, antiinfiammatorio, applicando la foglia direttamente sulla parte compromessa. Era utile contro eritemi e bruciori da allergia. La foglia fresca battuta legno su legno era mescolata a albume d’uovo e olio d’oliva.

Da segnalare anche il fico d’India (opuntia ficus indica) (figu morisca), introdotto dagli spagnoli in Europa nel XVI secolo, naturalizzato in tutto il Mediterraneo è stato un’incredibile riserva alimentare per molti sardi. Si utilizzava il frutto, crudo o cotto, ma anche, in condizioni di estrema
povertà, la polpa delle pale più giovani. Ci troviamo davanti ad un chiaro esempio di pianta spontanea alimentare e curativa. Il frutto ancora oggi viene mangiato crudo, appena colto e con il suo utilizzo è possibile preparare deliziose conserve e squisiti liquori nonché una apprezzata sapa.
Sia le pale giovani (cladodi) sia i frutti sono usati per l’alimentazione del bestiame.
La sapa diluita in acqua era usata in caso di morbillo, mentre il fiore essiccato era assunto in forma di infuso nel caso di disturbi allo stomaco o per smaltire gli effetti di una grande bevuta. I cladodi erano invece usati contro varie malattie della pelle: furuncolosi, ascessi, mastiti, ferite o punture, ustioni, tumefazioni, geloni, dolori reumatici, bruciature, calli. La pala veniva tagliata in due, riscaldata e applicata sulla parte interessata. Poteva anche essere pestata legno su legno e l’impiastro poi applicato con olio o come cataplasma. Recenti studi dimostrano l’efficacia della pianta nella cura del diabete, dell’obesità e delle affezioni infiammatorie.


Il fico d’india era ritenuto inoltre una pianta magica: dotato di aculei pungenti lo si riteneva in grado di tenere lontano il malocchio e i visitatori male intenzionati. Per questo e altri motivi veniva posto a recinzione dei proprio terreni.

Nota e in uso anche la portulaca (portulaca oleracea L.), (sa proceddana e altro), una delle piante segnalate da Salvatore, usata in insalata, salamoia, ma anche per curare alcune patologie.
In Sardegna come altrove era usata per le sue proprietà diuretiche, emollienti ed antiscorbutiche. Si usava contro le infiammazioni in generale, per la cura degli occhi, e per la cura di infiammazioni e
vermi intestinali. Per via esterna invece era spesso usata come vulnerario nelle ferite.


Impossibile non accennare almeno all’aglio, alimento fondamentale nella dieta dei sardi e medicamento preziosissimo. Nella varietà triquetrum (àpara in lingua sarda e altro) veniva e viene consumato crudo in insalata o cotto in frittate molto apprezzate.
L’aglio in ambito medico popolare era usato per la cura di diverse patologie: in caso di congiuntivite si alitava sugli occhi dopo aver masticato o mangiato alcuni spicchi di aglio, e per favorire il parto si potevano fare fumigazioni di aglio alle parti intime bruciando in un braciere le trecce di foglia essiccate, religiosamente conservate. Era inoltre considerato antimalarico e l’aglio fresco era strofinato contro le punture di insetti con ottimi risultati. Contro gli eritemi si preparava un particolarissimo olio noto sull’isola come òllu minàu . Nella sua variante più complessa, venivano emulsionati spicchi d’aglio tritati con acqua di fonte e olio extravergine di oliva.

In caso di coliche veniva praticata la mexìna de is cinku kòsas (la medicina delle cinque cose). L’aglio era ingrediente fondamentale.

L’aglio era inoltre ingrediente di molte terapie magico rituali: attraverso l’aglio (non meglio definito) si praticava una particolare forma di esorcismo. Sa morridùra si praticava contro le infezioni provocate dalle punture di insetti (zecche ad esempio). Pestato veniva passato sulla parte
in forma di croce.

Chiudiamo questa breve disamina ricordando che molte erbe erano considerate dei veri e propri aromatizzanti. Salvatore ricorda ad esempio che la peluria del maiale veniva bruciata con l’uso di lavanda selvatica (lavandula Stoechas) ed elicriso (helicrysum italicum microphyllum). Questa sorta di scopetta agreste era utile per la pulizia della carne ed era in grado di regalarle un incredibile aroma.

Una breve curiosità: l’elicriso, pianta magica e protettiva per eccellenza, veniva usato dal le donne sarde per la profumazione degli ambienti, degli indumenti e per la depilazione delle gambe. La pianta appena bruciata veniva sfregata contro le zone da depilare.

Le ricette


Insalata di erbe spontanee
200 gr di lattarèdda (Reichardia Picroides)
200 gr di cicoria burda (Hypochaeris Cretensis)
200 gr di pimpinella aresti (poterium officinalis)
150 gr di Erba de conìllus (Sonchus oleràceus e Sonchus arvensis)


Le erbe selvatiche raccolte in campagna vanno lavate e tagliate finemente condite con olio, aceto o succo di limone. L’insalata è un ottimo accompagnamento per arrosti di agnello, porchetto e capretto.


Ricetta per evitare l’incancrenirsi delle ferite
Foglia fresca di Portulaca Oleracea
Farina
Olio evo (all’occorrenza).


Mescolare gli ingredienti e applicare sulla ferita.


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