La Dea: il culto della natura

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Breve introduzione alle teorie di Marija Gimbutas

Mi sarebbe piaciuto star ad ascoltare le sue storie… Leggerle, ne sono sicura, non sarà  altrettanto bello. L’articolo che segue è un’assaggio delle teorie di una donna forte, che traeva sicurezza dalla terra, rileggeva il passato a suo modo e che sapeva cantare.

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Tutto scorre e niente si ripropone oggi come era ieri. E’ per questo che il presente appare come una cartolina sbiadita del passato nella mente degli anziani e il domani è per chi tende l’occhio oltre l’orizzonte, un traballare di ecosistemi deboli che lottano per la sopravvivenza.

La natura, il nostro tempio, la nostra essenza, il nostro habitat ci ha dato tanto, fin troppo forse, a vedere la moneta di cambio. Abbiamo avuto di che mangiare, di che respirare, addirittura di che sognare. La contropartita odierna è petrolio sulle acque, fumo nero contro il cielo, veleno che filtra fin le più remote cavità della terra, dimora un tempo di divinità ctonie.

Una convivenza impossibile quella fra natura e uomo eppure a frugare fra le frange del passato si trova, un po’ a sorpresa, di una società che questa convivenza la riteneva possibile, condizione quotidiana di sopravvivenza. La storia affascinante me l’ha raccontata Marija Gimbutas, archeologa disposta a narrare attraverso i suoi libri a tutti quelli che avranno la pazienza di ascoltare e la capacità di sprofondare giù nel passato, fin a ripopolare quella che è stata definita la Vecchia Europa, io direi anche il Vecchio Mediterraneo.

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Un territorio vasto accomunato da simboli, strutture sociali, forme culturali. Un territorio abitato da Mediterranei ed Europei dimenticati, che vivevano in pace, che rispettavano la natura, per dirla più modernamente, che avevano in mano il segreto dello sviluppo sostenibile.


Correva l’era della Pietra Nuova, prima ancora che i Sumeri scoprissero la scrittura e gli Egizi le piramidi. La società  che viveva l’occidente era tutto rispetto per la natura, amore e protezione per la Terra. Da lei veniva la vita, sarebbe stato impossibile ingannarla.

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Marija Gimbutas deve aver visto qualcosa di molto simile in Lituania, sua terra natale dove racconta di contadini che baciavano il terreno che coltivavano per il quale dimostravano più attenzione e cura durante la primavera, quando Gaia gravida era più vulnerabile. Un rapporto di fiducia, di collaborazione.

 


La società  di cui racconta la Gimbutas non è di quelle che si ritrova nei libri di storia. Tanto per cominciare non conosceva la guerra, ma semplicemente un ordine pacifico. Sorprendente no? La dimostrazione è l’assenza di manufatti che riproducono scene di violenza, combattimenti, guerre, armi; conoscevano l’agricoltura, tessevano e avevano il dominio sull’arte della ceramica. E’ stato dentro le statuette, nelle incisioni sopra le ceramiche ritrovate durante le sue campagne di scavo in Jugoslavia, Italia, Grecia, che la studiosa ha ricostruito il complesso sistema religioso dei nostri antenati baciati dal Mediterraneo.
Il loro sistema religioso era florido e complesso, la loro divinità primordiale “femmina”. Una Dea nata da se stessa, donatrice di vita, dispensatrice di morte, rigeneratrice. La sua casa era nella terra e nell’acqua, nelle caverne, negli animali, nelle colline, nei fiori e negli alberi; per dirla in una parola, nella Natura. La Dea, fertile e creatrice era rappresentata con caratteri particolarmente enfatizzati:il seno, il ventre, la vulva e le natiche a dire che la sua funzione principale era quella di generare e rigenerare la vita.
Pacifica e matriarcale, questa cultura è stata detta dalla Gimbutas “gilania” (da gy = donna e an-andros = uomo; la l al centro a mo di legame fra le due parti) ad intendere che donne e uomini erano caratterizzati da un’eguaglianza che nei millenni a venire sarebbe stata sconosciuta e nemmeno immaginabile. La donna custodiva il segreto dell’agricoltura, gestiva la tessitura, padroneggiava la ceramica, sovraintendeva a molteplici aspetti della vita sociale, più semplicemente ricopriva un ruolo di potere.
Questa religione antica, tutta incentrata sul rispetto per la natura, sulla nascita, sulla crescita, morte e rigenerazione conosce la propria fine con l’arrivo di quella popolazione che la Gimbutas dice convenzionalmente Kurgan. Provenivano dalle steppe russe, marciavano a cavallo, conoscevano l’arte delle armi e della guerra. Ad un sistema matriarcale imposero quello patriarcale, alla Dea sovrapposero il Dio, alla tutela per la natura, la guerra. Una frattura epocale di cui restano tracce nel mito, nella lingua, nel folklore nel quale la Dea e il rispetto per il mondo naturale ancora sopravvivono.

Una storia interessante quella raccontata dalla donna che per prima riscoprì la Dea, che ci racconta di un passato in cui la gente del Mediterraneo e dell’Europa antica vivevano in simbiosi ed armonia con la Terra, inconsapevoli della guerra, grati dei doni della Natura.

Tutto scorre e niente si ripropone oggi come era ieri, ciò non toglie che la buona strada possa essere ripercorsa… ancora.


Fonti:
Il linguaggio della Dea di Marija Gimbutas
Le dee viventi di Marija Gimbutas

Claudia Zedda

Scritto per Mediterraneaonline.eu

 

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