Sa Sùrbile

 

Surbile
Nella zona centrale della bella isola, la strega cambia nome pur vestendosi dei medesimi ruoli che sono propri delle sorelle del campidano, della gallura e del sassarese. Sentirete parlare di lei come sùrbile nel logudoro e nel nuorese. Il suo nome, che alcuni dicono di origine preromana, altri di origine latina, racconta chiaramente del suo ruolo sociale. Degradazione del latino sorbere, nel sardo surbentile si dovrebbe ricercare l’origine etimologica del nome delle mitiche creature. Si riferirebbe all’attitudine propria delle streghe sarde di sorbire il sangue dei bambini neonati.

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La tradizione li vuole non ancora battezzati, momento nel quale il piccolo era da considerarsi ancora un animaletto, non introdotto nella società umana, quasi che il sacramento avesse questa funzione. E non è improbabile che il mito della strega che aggrediva preferenzialmente i bambini che ancora non avevano ricevuto accoglienza nelle società  cristiana, sia stato un incentivo per stimolare lo stesso battesimo in fase di cristianizzazione.
Oggetto delle attenzioni della sùrbile, il neonato sarebbe stato condannato se la strega fosse riuscita a far il proprio ingresso nella dimora. Questa si sarebbe recata in prossimità de su brozzolu, la culla, e avrebbe preso a suggere il sangue dalla fontanella, parte del corpo fra le più delicate per il neo nascituro. Una insolita tradizione vuole che se questa avesse preso forma di gatto, il sangue sarebbe stato versato fra la cenere del camino.

Le singolari costeddas ottenute, similari a su cuccu de cani (focacce per cani) erano il piatto preferito delle disgraziate. L’ematofagia è un tratto che caratterizza tutte le streghe sarde, avvicinandole notevolmente alla strega latina, dalla quale si potrebbe immaginare, abbia assorbito qualche carattere. Non sempre la strega uccideva, non immediatamente almeno, e di chi appariva pallida ed esangue si diceva “Paridi sutta de cogas” sembra succhiata dalle streghe. Alle madri era concesso difendere la propria dimora, catturare le streghe o smascherarle. Ma anche in quel caso, l’ira sociale non sarebbe subentrata. La regola principale era quella di non lasciare mai sola puerpera e neonato. E’ forse per questo che dopo la nascita di un bambino amici e parenti abitavano la dimora per tutta la notte.

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I rimedi principali erano la cera vergine, con la quale la serratura doveva essere sigillata, efficace l’utilizzo di alcuni strumenti quali la falce dentata e il treppiede. Vedendo la falce, sa sùrbile sarebbe stata presa dall’istinto di contare i denti ma, povera creatura, avrebbe saputo contare fino a sette, numero che non a caso in Sardegna possiede una fortissima valenza magica. Arrivata al numero sette avrebbe ripreso da principio, fino all’alba, momento nel quale la tradizione vuole, si sarebbe dovuta dare alla fuga. Anche porre un treppiede capovolto accanto a su brozzolu era una forma di difesa efficace, in quanto non avrebbe consentito loro l’ingresso nella casa che ospitava il pargolo. Le streghe dimostravano infatti una fortissima avversione per tutto ciò che si presentava capovolto. Se il treppiede fosse stato capovolto quanto queste erano già  entro la dimora, ivi sarebbero state imprigionate. Il simbolismo del capovolto ha da sempre avuto un ruolo fondamentale in Sardegna, e a questo si riconnette certamente il rituale della capriola, atta al capovolgimento, all’inversione della situazione. Eccezionalmente utile il ruolo della scopa a chioma in su, o dei chicchi di grano sull’uscio. Sostanzialmente anche in questo caso sa sùrbile si sarebbe fermata a contare, chicchi o fili non riuscendo ad andare oltre il numero sette. C’è chi nel grano vede il ricordo di un antico rituale di propiziazione e rabbonimento della strega. Ma anche le erbe sapevano dimostrarsi efficaci. Issopo, fiori d’arancio, ruta, erano la condanna delle streghe. Ma sull’argomento i consigli si sprecano. Infiggere un coltello al terreno è un tocca sano contro le streghe, mettere il pargolo dentro un cesto di giunchi usato per separare la crusca dalla farina, l’avrebbe salvato dalle mire de sa sùrbile. Intuibile l’assonanza gestuale del fare il pane come fare il bambino. Ma una terra magica come è la Sardegna, non poteva non presentare una eccellente varietà  in fatto di amuleti. Il più efficace nella protezione dei bambini è sa sabeggia ( nota anche come kokko o pinnadellu). E’ uno dei più diffusi amuleti sardi. In pietra nera, ossidiana od onice. La forma è normalmente sferica, incastonata in argento perché, avrebbe perso il suo potere se incastonata in oro. L’argento infatti era considerato un metallo puro, credenza che probabilmente è stata introdotta in Sardegna dagli spagnoli, che avevano ereditato la convinzione dagli arabi. Simbolicamente rappresenta il globo oculare, è l’occhio buono, che si contrappone a quello cattivo, attirandone lo sguardo. Si spaccherà  proteggendo preferenzialmente il bambino che lo indossa, nel caso in cui questo si sia guardato con invidia.
Per smascherare sa sùrbile niente è più efficace della parola sale. La poveraccia non si sarebbe potuta trattenere dall’orinare. Ma il metodo infallibile era quello di ferire l’animale sotto le fattezze del quale si presentava la strega a notte fonda. I segni della colluttazione, visibili il giorno successivo, l’avrebbero smascherata senza ombra di dubbio.

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