Collinas: sul tetto del mondo

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Collinas: sul tetto del mondo

Quella che sto per raccontarti è una storia fitta e densa, dagli intrecci complicati. Quando penso a questa storia immagino un tappeto tessuto da un telaio, di quelli antichi, pesanti, da accarezzare, di legno rugoso come la mano di una vecchia. La trama è complicata, ma il tappeto, guardato da lontano, a lavoro concluso è perfetto, bellissimo, suona ogni nota con precisione e sicurezza. Questa storia è così, complicata nei suoi intrecci, ma nell’insieme la più bella che tu possa ascoltare.

E proprio da un telaio prende il via questo racconto, da un telaio d’oro, da un bosco sacro, da una leggenda che lo protegge. Siamo in Sardegna, questo è certo, ma questa è una Sardegna che non ti aspetti.

Come spesso mi accade mi innamoro del posto che vado a visitare ancor prima di vederlo, per merito di quelle fini vie d’accesso che lo legano al caos della 131. Così è stato per Collinas con i suoi muri di pietra forti, i suoi boschi sodi, il verde incantato degli olmi che ti fanno ombra e il giallo abbagliante dell’orzo e del grano che ovunque crescono.

La fine via d’accesso dicevamo e fine per davvero, sinuosa come una biscia nera, rosicchiata nei suoi bordi incerti da fiori campestri che crescono al lato strada e si sporgono più oltre, fino a toccare la macchina. Questo è il regno della carota selvatica, bianca, infinita, ruvida e delicata, come se Natura fosse sposa e lei il suo velo.

Un tempo la usavano per legare il grano, mi ha raccontato Pinuccio, un vecchio forte e saggio, solido come una pietra, abbronzato di sole e stagioni, con piccoli occhi di cielo e mani di terra. Un gigante che racconta storie timide e bonarie.

La strada percorsa, secca, costellata di fiori bianchi, spighe gialle e malva sinuosa si è conclusa davanti al cancello che separa il mondo dal Santuario di Santa Maria Angiargia. Oltre il cancello è verde fresco, fuori giallo assetato d’estate.

 

Collinas: il bosco sacro

Te lo confesso, prima di entrare ho chiesto il permesso agli spiriti che lo abitano. Quel bosco, c’è da metterci la mano sul fuoco è sacro davvero. La leggenda vuole che sia protetto dall’influsso della Madonna che lì, nel cuore del bosco ha voluto una piccola chiesa. Il vincolo è semplice ma deciso: nessuno deve portar via dal bosco niente, né legna, né fiori, né foglie. Niente.

“Qualcuno, contravvenendo alla regola ha perso la vita”. Mi è stato detto, mentre io, tra il vedere e il non vedere lasciavo cadere il bellissimo fiore di rosa canina raccolto per il mio erbario.

“Che sia vero o no, la leggenda ha protetto fino ad oggi questo bosco”, mi ha confermato qualcun altro. E mi è venuto da sorridere, che le leggende fanno anche questo in Sardegna, la proteggono, la mantengono così, bella e selvaggia, verde e austera, magica e sacra.

In occasione della festa dedicata alla Madonna il bosco prende vita, ma quel giorno era addormentato, ricco di rumori e di raggi di sole prepotenti che scivolavano oltre gli intrecci di foglie e rami. Ci sono state girate alcune scene de S’accabadora di Enrico Pau e per visitarlo tutto ci si mette poco, ma il tour ti riempie di silenzio, di verde brillante, di pace.

Collinas: il muro della musca maccedda

C’è un muro all’interno del bosco sacro. Lo chiamano su muru de sa musca maccedda. Nessuno sa con certezza di cosa si tratti, di quale fosse il suo utilizzo; di certo c’è solo il nome e il vago ricordo di un tesoro.

“Cosa, quale tesoro?” ho chiesto io.

“Un vello d’oro”, mi ha confidato Pinuccio. “Un telaio d’oro” mi ha sussurrato Efisio. Eccolo lì il mio telaio, eccola lì la mia storia. Ho sorriso, perché tutte le volte che sento odore di Janas sorrido.

Su contu che mi hanno raccontato è frammentario ma evocativo: una musca maccedda che protegge un tesoro.

“Cos’è per voi la musca maccedda? Come è fatta?”.

Nessuna risposta immediata, solo un sorriso. “Qualcosa da non incontrare”. Mi sono accodata al sorriso raccontando che idea mi fossi fatta io di questa creatura.

“Prende forme diverse nelle diverse località sarde. Quel che non cambia mai è che protegge un tesoro. Nei luoghi in cui si parla di musca maccedda si racconta ci fossero due botti, due forzieri, due otri uguali in tutto e per tutto, sepolte o in bella vista. Un contenitore dava casa al tesoro, l’altro alla mosca. Nessuno per questo si azzardava a violare il tesoro: aprendo il contenitore sbagliato la mosca sarebbe volata via devastando bestiame, popolazione e radendo al suolo il villaggio. Ad imprigionare la mosca secondo le leggende sono sempre gli abitanti del villaggio che ballando in cerchio, presi per mano, a creare quasi un muro, circondano la creatura e la catturano, imprigionandola per sempre”.

Sarà un caso, ma su quel muro, me lo ha fatto notare Nicola, esistono ancora due basamenti piani che un tempo possono aver accolto due piccole botti, due delicatissime anfore.

Nessuna jana nel racconto. “Qui non abbiamo janas” mi è stato detto. Ma non ci credo, che dove c’è un telaio ci sono anche le Janas, anche se non si fanno vedere.

 

Collinas: la terma su angiu

Pochi passi e si raggiunge una struttura rettangolare, in miniatura, con tetto a capanna e belle vasche degradanti sul davanti cariche d’acqua calma ma non immobile. La porta è chiusa a chiave ma non appena viene spalancata lo stupore non si contiene. Una pozza d’acqua trasparente, blu come il fondo di una grotta bagnata d’acqua fredda, sorgiva. Quando il troppo pieno viene superato l’acqua in eccesso va a riempire i vasconi che si trovano all’esterno, davanti alla struttura.

Puoi pensare davvero di tutto. Che si tratti di una fonte battesimale, di un antico pozzo sacro, di un antico luogo di culto. E invece no. Le tecniche costruttive collocano la sua nascita intorno al II secolo d.C e si ritiene probabile fosse un ambiente facente parte del frigidarium delle terme romane che lì si trovavano.

Anche questo luogo da fiaba è animato da una leggenda. In un epoca storica non meglio precisata attraversava quel sentiero di campagna un contadino con il suo carro e i suoi buoi. Disgrazia volle che una delle sue ruote sprofondasse nel terreno. A nulla valsero le sue preghiere, le sue imprecazioni, i suoi sforzi. Si dovette far aiutare. Liberata la ruota e il carro il fosso ripulito restituì la presenza di un antico pozzo all’interno del quale fu rinvenuta una piccola madonna. La caricarono sul carro per tornare in paese. Eppure i buoi non si mossero se non per entrare nel bosco. I presenti compresero subito: quel bosco era sacro alla Madonna e lì dove il carro si era fermato, lì lei voleva che si costruisse un piccolo tempietto rurale. Manco a dirlo la Madonna venne accontentata.

Ho avuto modo di ammirare quella madonna: si tratta di un busto ligneo, probabilmente con abiti romani, privo di testa ma non certo di fascino.

 

Collinas: il Monte Fortuna

Nel primo pomeriggio abbiamo preso le macchine: rotta verso Sedda sa Caudeba – Tomba dei giganti. Le spighe selvatiche ballavano, i fiori di carota erano ovunque, licheni d’arancio arso vestivano le pietre e intoro ronzio di insetti e canto del vento.

“Cos’è quello?”

“Il monte Fortuna” mi è stato detto, “e ci sarebbe da domandarsi perché in tutta la Sardegna questo sia l’unico monte intitolato a Fortuna”.

Non dubitarne: ho rigirato la domanda.

 

Collinas: Nuraghe Concali

Le macchine ci hanno portato fino al nuraghe Concali. Il paesaggio che ho ammirato è simile a quello di Jerzu vista da Ulassai. Immense distese di campi coltivati, ordinati, con sentieri segnati con precisione che separano i colori e le consistenze. Una tavolozza di pastelli pronti per pitturare il cielo.

Parcheggiate le macchine siamo saliti a piedi fino al tetto del mondo. C’erano due cose che Nicola voleva vedessi, ma poi le cose sono diventate molte di più.

La pietra delle impronte è stata la prima. E’ incisa di precise coppelle più profonde e nette di quelle che siamo comunemente abituati a vedere.

“Qui si riposava Luxia Arrà, e i suoi zoccoli, racconta la leggenda, hanno segnato la pietra”

“I suoi zoccoli?”

Luxia Arrà, abbreviazione di Luxia Arrabiosa qui a Collinas ha sembianze che non ho mai conosciuto altrove. E’ un cavallo alato, mezzo bestia mezzo donna o forse uomo. Leggenda vuole che su quella preziosa e antichissima pietra abbia trovato riposo più di una volta e che più di una volta quello sia stato il suo trampolino di lancio verso la ricca vallata dove si troverebbe pure il suo forcone. Il suo volo la conduceva a Morgongiori per svolgere chissà quali affari.

Non è difficile comprendere perché qui Luxia voli. La collina sulla quale sorge il nuraghe è spesso battuta da un vento forte che a occhi chiusi di regala la sensazione o il desiderio di volo.

Più sorprendente è la trasformazione di quella che comunemente è donna e gigantessa in cavallo. Le mie deduzioni sono semplici ma da approfondire. La Luxia di Collinas è forse ultimo stadio dell’evoluzione che ha visto protagonista la più antica Orgia, oramai demonizzata e compromessa inevitabilmente. Luxia qui è forse esemplificazione del diavolo (come accade anche altrove). E non è un caso che in Sardegna il cavallo sia una delle forme che assume con maggiore frequenza il diavolo, e non è un caso che nella vallata che unisce Morgongiori a Collinas ci sia pure il suo forcone pietrificato.

Ma niente ha importanza lì, sulla vetta del nuraghe Concali. Né le teorie, né le leggende, tanto meno le parole. Il vento ti stordisce, ti schiaffeggia la vastità del paesaggio, la primordiale essenza della natura che qui profuma di finocchietto selvatico, assenzio marino e terra arsa. Niente ha importanza qui dove c’è solo il tuo piccolo cuore che batte contro il fiero vento. Lui ti spinge e ti sussurra che sì, se chiudi gli occhi e apri la tua mente, sì, puoi volare anche tu, come Luxia.

Quando sarai lì, sulla vetta siediti e ascolta.

Cerca all’orizzonte su Pippiu che alcuni dicono Napoleone, un gigante di pietra addormentato, e il volto della grande roccia, che ti osserva silenziosa.

Quando sarai lì, sulla vetta siediti e lascia cadere un frammento del tuo cuore che il vento custodirà. Avrai un pretesto per tornare, presto o tardi sul tetto del mondo.

Per questa avventura ringrazio Nicola Castangia e sua moglie, Gabriella Melis, Efisio Tuveri, Pinuccio, Gabriele Scanu, Francesco Sanna, Sara Onnis, il Sindaco e tutti quelli che mi hanno guidato alla scoperta delle leggende di Collinas.

 

Conclusioni e approfondimenti

Non ti sarai dimenticato del Monte Fortuna vero? Per queste spiegazioni e molte altre devo dire grazie a Efisio Tuveri.

Collinas un tempo è stata Forru; (da segnalare poco distante la graziosa Villa Nova Forru). “Perché Forru?” ti starai domandando.

C’erano delle fornaci? Forse, o forse no.

Le teorie che mi sono state proposte gravitano invece intorno alla romana Dea della Fortuna, Fors. Si legava ai boschi sacri e all’acqua, elementi che qui non mancano di certo. Forse in suo onore è stato nominato quel monte che poi è una piccola collina, unicum sardo, e forse in suo onore è stato nominato il villaggio che con il tempo si è trasformato da Fors in Forru e poi per vicende che non stiamo a ricordare in Collinas.

Quel che è certo in tutta questa storia è che questi territori sono stati abitati dall’uomo fin da tempi piuttosto antichi, in maniera continuativa. E’ certa la presenza di acqua, di un bosco che se pure non lo sai lo sospetti, è sacro. E’ certa anche la presenza divina, di una donna, di una dea, di una madonna, di una fata che ancora oggi fa di tutto per proteggere un tesoro. Io questo tesoro l’ho visto: è fatto di alberi, sorgenti, di terra ricca e cielo pulito, di gente onesta e orgogliosa. Tu se vuoi immagina un telaio d’oro o un vello brillante.

Tutto il resto, e questo è il bello, è leggenda.

1 Comment
  • Lucia Canu
    Dicembre 16, 2020

    Claudia sono sarda e non più giovane ti ringrazio per questa magica lettura, un inizio di giornata niente male ancora grazie

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