Sardegna invisibile: Sabadi, e i Menhir di Cuili Piras

Gustosa alchimia fra mare e montagna, il fascino di Sabadi è d’essere terra di pochi. Silenziosa, solitaria, permette al viaggiatore di riprendere fiato e di godere del fascino dei respiri lenti, delle passeggiate piene di attimi ricchi di profumo e di particolari. A 117 metri sul livello del mare, metro più metro meno, abitata da pochi, da pochissimi, la frazione di Sabadi fa capo al comune di Castiadas dal quale dista meno di 4 chilometri. Ti immette in questo mondo agreste, passate le antiche carceri comunali, un viale alberato fino e fitto di mura gessa che si piega sulla strada.

A prima vista sembrano più protagonisti d’una tela ad olio che piante fatte di legno e foglie. Attraversare il vialetto frondoso è catarsi, è purificazione, è abbandono, per la sottoscritta almeno. Dopo di che è una salita che piega a destra e sinistra in sinuosi viottoli di montagna, abitati qua e la da sporadiche famiglie. Ogni stagione è una sorpresa, in sinfonia di fiori, profumi, volo d’uccelli e fuga di cervi e conigli. Una bolla di campestre e bucolico, che galleggia in un mondo che ha fretta d’arrivare, nella quale la terra cura, il frizzante di montagna rigenera, la secca aria d’altura tempra.

Arde il sole più che altrove, e il vento e la pioggia possiedono una foga selvaggia e indomita, alla quale ci si piega con piacere d’inverno, sonnolenti, di fronte ad un camino che arde, ad un libro che racconta. Ti sveglia a notte fonda, una luna intensa di luce e speranza, guidata nel suo percorso dalla via lattea, polvere di stelle, mai vista altrove tanto netta. E poi il dintorno è tutto canto di tortore, d’upupe, bramire di cervi, andare di cinghiali e in lontananza, quasi che provenisse dal sogno, ti raggiunge il dondolio di campane che suonano, immagineresti mosse da graziose janas. No, mi è stato detto, si tratta delle pecore lente e delle caprette vispe che nel torbido del buio, vanno, sicure.

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Ho raccolto in quei sentieri odorosi di mentuccia selvatica e di violacea Maria Luisa, turgide more che in agosto tingono la mano di vinaccia e zucchero saporito.

L’escursione di fine estate che mi premeva di vivere, era quella alla scoperta dei Menhir di Cuili Piras. Le indicazioni regalatemi ancora una volta dal sito della Regione Sardegna descrivono una zona priva di rumori e altrettanto orfana di nomi, e il ritrovamento del luogo è stato doloroso e combattuto. Ma la gente del posto è cortese e non disdegna di condividere, così alle istruzioni di viaggio ho mescolato consigli di viaggiatori, ritrovando dopo qualche tentativo quella schiera di pietre infisse nella terra, che sonnolente vivono una preistoria senza fine.

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Il viale per raggiungerle è lungo e privo di curve, s’affaccia per un lato verso il mare, per l’altro verso la montagna di roccia liscia e innaturale che pare più che opera di natura, ingegnosa realizzazione surrealista.

“Da Muravera, dirigersi verso Castiadas; dopo San Priamo, all’altezza di Olia Speciosa, girare a sinistra per Costa Rei. Al termine del lungo rettilineo che corre a margine della piana di Pranu Malloccu, dopo circa 2,5 km, poco prima dell’inizio delle curve, si volta a destra in una strada di penetrazione agraria che conduce alle case Toneddu…”. Ho percorso la strada all’inverso e con una certa sorpresa ho trovato le case Toneddu, belle strutture agricole che godono d’un mare che le saluta in lontananza. Il cancello verde e spalancato, esattamente come descrittomi da chi in precedenza aveva già visitato il sito, mi ha accolta a braccia aperte. Ho percorso il sentiero di terra battuta e polvere lentamente e con una certa diffidenza eppure dopo qualche curva e qualche salita che spinge direttamente nel cuore della vallata silenziosa, si ha dinanzi uno spettacolo immutabile nel tempo, di menhir fissati al terreno che congiungono suolo e cielo.

Cinquantatré figli di pietra che puntano al sole e alla luna, custoditi in una vallata inviolata, che solo i curiosi raggiungono, abitata fin dal neolitico e ben frequentata sia in epoca nuragica che in epoca imperiale romana. La disposizione di quelle creazioni del genio umano, è tale che chi se ne intende ha ipotizzato si tratti di un antico, di un antichissimo calendario di pietra che individuava ieri i cicli delle stagioni, coglieva il sorgere del sole e il morire della luna.

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Era tutta un’atmosfera di sogno, fra la sterpaglia colorata di paglia, il rugginoso lichene che ammantava le pietre, il fico selvatico ampio, dalle fronde pesanti e profumate, il mare in lontananza e quel silenzio assordante intervallato solo dal potente battito di vita che animava il luogo inviolato, sacrale, prezioso, antico.

Purtroppo si deve attraversare una proprietà privata, quindi è d’obbligo attenzione ed educazione.

Poco distante in schiera si propongono altri 43 menhir del complesso di Nuraghe Scalas, ma quello sarà un altro itinerario, un’altra storia.

Fonti:

http://www.sardegnacultura.it/j/v/253?s=22263&v=2&c=2488&c1=&t=1

2 Comments
  • luisella
    Luglio 19, 2012

    ecco, questo è un itinerario che non ho mai fatto, lo inserirò nelle mie priorità!
    grazie anche di questo!

  • Kalaris
    Luglio 20, 2012

    Ciao Luisella! Merita davvero, è una valle lunare quella che ti aspetta! 🙂

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