Ipotesi di viaggio: di Gallura, vermentino e altri affari

Questo viaggio è nato in tavola, diciamo cinque anni fa, o forse qualcosa di meno. Il tempo passa e io inizio a far confusione fra gli anni, ma lasciamo andare.

Iniziato a tavola dicevo, in uno di quei ristorantini della Marina cagliaritana, con artisti di strada che ti passano accanto, suono di fisarmonica che ti raggiunge e non sai nemmeno da dove e odore di risacca che risale i vicoli ombrosi e umidi ma colorati di tovaglie e lacci svolazzanti. Quel giorno mi sembrava di pranzare a Castelsardo, ad Alghero, a Barcellona e invece no, ero a Cagliari. La faccio breve, ci portarono un ottimo vermentino. “Di dov’è?” ho chiesto. “Questo è vermentino di Monti”. Dal giorno il vermentino è stato di Monti e di nessun altro. Dal giorno ho iniziato a pensare che Monti, presto o tardi l’avrei visitata.

Prima tappa: Paulilatino

Santa Cristina è come la salsiccia o il pane carasau in tavola: un aperitivo alla sarda lo devi aprire necessariamente con quelle pietanze. Un buon viaggio ugualmente lo si deve aprire con un pozzo sacro, e quello di Santa Cristina mi emoziona sempre. Il biglietto ci è costato 5 euro, il sole era accecante e mi stordiva, la guida, ahimè devo ammetterlo, piuttosto noiosa, ma l’acqua come al solito mi chiamava. Suono di cicale che ovunque cantavano, da sotto terra, da sopra gli alberi, nascoste fra le pietre e il cielo. Mia figlia si è letteralmente innamorata del posto. Come ogni cucciolo d’uomo il buio la spaventa, eppure no, quello del “posso sagro” come dice lei, la attraeva. Figlia di mamma. Abbiamo contato assieme gli scalini con la promessa che presto li percorreremo mano presa.

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Seconda tappa: Monti

L’agriturismo che ho scelto per questa mia escursione vitivinicola non poteva che chiamarsi “Il Vermentino”. Eravamo letteralmente immersi in lunghi filari di vite che svolazzava mossa dal feroce vento di maestrale. La struttura profumava di granito, e per quanto sull’ospitalità debbano ancora lavorare, la location è davvero suggestiva.

Nel primo pomeriggio veloce escursione al Santuario di San Paolo che ti offre almeno due possibilità: conoscere un luogo di culto solitario e antico, votato al silenzio e all’acqua che scorre chiassosa e farti scuotere gli occhi dai paesaggi galluresi che devi per necessità attraversare se desideri visitare il santuario. Granito, macchia mediterranea, quell’indistinto arancione che promette un bel tramonto e vento come se non ci fosse un domani. In lontananza ci salutava Tavolara. Le foto pur se bellissime non rendono l’intensità del colore.

La cena all’agriturismo “Il Vermentino” è stata eccezionale. Una carrellata di antipasti che non finivano. Fra le specialità la Mazza Frissa, a base di panna e semola. Un portento calorico che puoi mangiare a mo’ di antipasto o dolce. Sono seguiti moltissimi primi, il maiale che non può mancare mai, dolci, caffe e amari. Il vero protagonista è stato il Vermentino. Credo di non averne mai bevuto così tanto.

Un vero peccato non sia stato possibile visitare le cantine Tani: ci siamo dovuti accontentare di guardarle da lontano.

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Terza tappa: Olbia

Monti non è troppo distante da Olbia, strada a parte che è un cantiere a cielo aperto. Primo obiettivo un pozzo sacro, quello di Sa Testa. Si raggiunge molto facilmente: è a pochi passi dal mare e purtroppo poco distante da un centro commerciale. Per raggiungerlo c’è da seguire un breve sentiero lastricato, poi il pozzo ti appare. Ti da la sensazione d’essere rannicchiato lì da sempre. Il suo fondo è ancora umido e mille e una jana svolazzano intorno alla sua imboccatura. Ronzano indaffarate ma ti lasciano avvicinare a patto che tu lo faccia con rispetto. Manco a dirtelo mia figlia era entusiasta.

Peccato per il museo e per il relitto della nave romana: la sala era momentaneamente inagibile. Se tu sei in zona però facci un salto, sono certa che merita.

Quarta tappa: Tenute di Balajana

Questo è stato il pezzo forte del tour: lo sospettavo fin da principio ed è stato proprio così. Monti dista da Luogosanto una dignitosa ora di macchina, ma il tempo passa piacevolmente per via delle belle curve che portano ad Arzachena. Siamo arrivati alle Vigne Piero Mancini alle 18,00: orario favoloso. Il sole era morbido, Maestrale cedeva le armi e il posto si è mostrato fin da subito come una piccola oasi di verde e silenzio, a galla sul granito, pacifico e immoto.

Ci ha accolto Laura, ci ha poi raggiunto Claudia. Due donne, mi piace ho pensato subito. Io sono una grande fan delle donne votate all’accoglienza per atavica predisposizione. Abbiamo atteso che il gruppo si compattasse per pochi minuti sotto una pesante tettoia, circondati da alberi antichi e verde. Claudia mi ha ricordato fin da subito una vecchia amica. Ci ha raccontato parecchie curiosità sul cannonau, le sue parole hanno pure regalato un certo valore alla precedente gita alla scoperta di Ulassai e Jerzu. Ho anche scoperto che il Vermentino non è un’uva che coltiviamo solo in Sardegna, ma che un vermentino come quello isolano non lo puoi trovare altrove. Tutto merito della terra, del vento, della salsedine, del granito, del sole, dell’uomo. Ho scoperto che le rose che alcuni coltivano davanti ad ogni filare servono da avvisaglia per le malattie, ma più spesso sono un’attenzione estetica gradevolissima, e che la vite è una pianta che deve soffrire per dar il meglio di sé. Il tour è stato piacevole, istruttivo, divertente.

Claudia ama le Janas esattamente come le amo io, l’ho saputo per via di un albero, un vecchio, grande albero intorno al quale ho girato per tre volte.

Anche qui le cicale hanno cantato per noi. “Dicono che quando cantano così è per richiamare l’acqua” mi ha detto, è tutto mi è sembrato squisitamente perfetto. Per far rientro verso la casa abbiamo attraversato ciascuno un proprio, personalissimo filare di Vermentino che ci ha condotto magicamente alla volta dello stazzo. Prima di raggiungerlo fermati. Voltati. Guarda la perfezione di quella terra segnata da precise righe verdi che si muovono appena. Respira a fondo e ferma l’immagine nei tuoi ricordi. Sarà bello ritrovarla poi…

Lo stazzo che ci è stato mostrato è un antico ambiente settecentesco con tanto di forno sardo, arnesi antichi e tripudio di bottiglie Mancini. A tavola abbiamo degustato vini dall’identità spiccata e profumata. Un bicchiere di Cuccaione, vermentino DOCG e Scalapetra o Petrascala come direi io, un mix di diverse uve dal profumo intenso e coinvolgente. Ho salutato quelle due belle donne con la promessa di rivederci presto per parlar di Janas e Sardegna, e con la voglia di scoprire qualcosa di più del vino di casa mia.

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Quinta tappa: Abbasanta – Nuraghe Losa

Finalmente sono riuscita ad entrar nel nuraghe Losa. Dico finalmente perché ci ho pensato e provato molte volte: questa è stata quella buona. Peccato per l’assenza di guide ad accompagnarci, peccato per me, peccato soprattutto per i turisti che vengono a trovarci da lontano. Il nuraghe è bello, umido al suo interno, rosicchiato d’arancio al suo esterno, abitato in epoca romana e medievale.

Il viaggio che era iniziato a tavola si è concluso a tavola. Due giorni dopo, con davanti un buon Taerra delle cantine Tani, ricordando la Gallura, augurandoci di farvi ritorno presto.

Questo viaggio mi ha regalato una maggiore conoscenza della mia terra, che è piccola ma varia come una scatola di bottoni tutti diversi, due libri che ho quasi già divorato, quattro nuove bottiglie di vino, la scoperta di nuove persone e la consapevolezza che lassù, fra granito e macchia mediterranea la luna è più grande.

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