Ecco cosa mi ha insegnato il sardo

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Ecco cosa mi ha insegnato il sardo

Quest’anno ho preso il coraggio a due mani e ho iniziato a seguire un corso di lingua sarda. Lo volevo fare da un sacco di tempo, ma solo quest’anno ho finito le scuse per non farlo, e mi sono buttata. Durante la prima lezione sembravo una bambina al primo anno di scuola. Ovviamente mi sono seduta ai primi posti, rigida come un pezzo di legno. Agli ultimi posti io mai eh? Va bè, chiaramente mi è spettato di parlare per prima.

  • Perché vuoi studiare sardo? – mi ha chiesto l’insegnante. Che poi ha la mia età, figli, gentilissimo, super disponibile e non mangia nessuno… ma niente. Panico.

Ecco ho pensato, ora muoio di paura. Se fingo di essere morta passerà oltre…

No, non mi hanno saltata anche se l’occhio da pesce morto mi è venuto benissimo. Forse avrei dovuto tirar fuori la lingua, va be, sarà per la prossima. Chiaramente dovevo rispondere in sardo. Non lo so come sia stato, ma balbettando di qua e di là ho risposto e via, sotto a chi tocca.

  • Voglio combattere la vergogna che provo nel parlare sardo e voglio che mia figlia conosca la nostra lingua perché ne ha diritto e io ho il dovere di insegnargliela. – Credo d’aver detto qualcosa del genere. In realtà dopo dieci lezioni, il sardo mi ha insegnato molte più cose che qualche tecnica spiccia per superare sa bregungia, la temuta vergogna.

Ecco cosa ho imparato dal sardo.

A parlare lentamente. Quando parlo in italiano parlo veloce perché le parole le conosco da 38 anni (eh già parlo da che ho un anno) e quindi molte di loro per me hanno perso significato. Ci sono, le uso e poi le dimentico. Con il sardo no: conosco pochi vocaboli e tutti i nuovi che imparo li custodisco come un tesoro. Le parole hanno un suono, un colore, un’energia e alcune mi entrano proprio nel cuore. Parlando più lentamente dico meno cose, ma più sensate forse. Insomma è tutto succo, poca polpa e niente semi.

A credere che quel che voglio fare, se lo voglio fare davvero, posso farlo. Con le lingue ho da sempre un grande problema. Semplicemente non sono portata. Punto. A capo. Cambiamo argomento. La cosa è valsa per l’inglese, e pure per lo spagnolo, ma un po’ meno perché lo spagnolo mi piace moltissimo, e se le cose mi piacciono ci metto impegno. Ma quando comunque non riuscivo ad esprimermi in un’altra lingua la risposta mentale era sempre la stessa: eccerto, non sono portata! Tutte stronzate. Le lingue si studiano e le lingue si parlano: se lo fai è altamente probabile che tu riceva risultati. Tutto il resto è fuffa. Così è stato per il sardo. E ora che vedo barlumi di speranza sul fronte isolano mi sto buttando anche nell’avventura spagnola: sto acquistando libri in iberico e sai che c’è, capisco tutto. Benedetta professoressa Lupini, sarebbe orgogliosa di me. Dovrò farglielo sapere. Per il parlato ci penseremo più in là.

A pensare in modo nuovo. Il sardo è strutturato in maniera diversa rispetto all’italiano. All’inizio questa cosa mi ha messo in crisi. Ma parlo di una crisi nera, tipo io che piango e mordo chi mi dice di lasciar stare, che tanto non fa per me, ma perché lo stai facendo, non vorrai mica scrivere i miei libri in sardo? (Abominio negli occhi di chi parla!) Quell’inc… Quella rabbia mi ha consentito di rompere un limite, ha fatto proprio crack. Ed improvvisamente il mio cervello ha compreso che oltre all’italiano ci sono molte altre possibilità di espressione. Un po’ come quando cambi strada per rientrare a casa, ti perdi, ti maledici per non aver seguito sempre lo stesso sentiero, ma poi alzi gli occhi e wow! Ti trovi davanti ad un parco strepitoso, ad un palazzo colorato, ad un negozio che vende i prodotti che cercavi, ad una libreria che propone libri usati di una bellezza intonsa. Se non ti fossi perso col cavolo che potevi inciampare in tutte quelle meraviglie. Ecco, io nel sardo mi sono persa, e credo sia una figata pazzesca perdersi in questa lingua.

A capire meglio la Sardegna. Questa cosa non te la so spiegare a parole, la devi sentire da solo. La prima volta che qualcuno mi ha spiegato questo concetto ero in pullman, con un libro di Cicitu Masala fra le mani. È stato proprio Cicitu Masala a spiegarmela. Non lui chiaramente, ma un suo libro. Chissà quanti anni fa lui scriveva che un sardo deve parlare il sardo, e io all’inizio faccia storta, che il sardo come forma espressiva ci è stata tolta con la violenza, e io faccia dubbiosa ma interessata, e che riprenderci questa lingua è un atto di rivoluzione, di consapevolezza e di indipendenza (sto parafrasando, non me ne voglia C.M.), e io piuttosto a disagio per il fatto di non averla capita prima questa cosa, eppure è facile. Ci ho girato intorno tre anni, e poi mi sono iscritta ad un corso di sardo: si poi ti passo tutti i link. Insomma, io che di Sardegna ne conosco un bel po’, ora la sento un po’ più mia. Ma devi provare per credere, questa è una emozione di nicchia (strizzatina d’occhio).

Quando vogliamo capirci ci capiamo benissimo. Quella cosa del logudorese diversissimo del campidanese, e del campidanese che se parla con un logudorese non lo capisce (e viceversa), be anche quella è una stronzata pazzesca. Ce lo hanno raccontato, ci abbiamo creduto, e chiuso il discorso. Un tempo gli scambi fra le due varianti erano molto più attivi e quelle si auto influenzavano. Conta che nord e sud dell’isola commerciavano quindi o ci si capiva o mantza vira (questa cosa non so come si scrive, dovrò chiederlo ai miei maestri ma si traduce in “non se ne fa nulla”) (Aggiornamento: svelato l’arcano. Si scrive Mai in sa vida – Mai nella vita). Bene quando l’Italiano si è infilato in Sardegna come lingua franca per parlare fra nord e sud si usava quella, gli scambi linguistici sono diminuiti e con quello la comprensione. Ma pure le somiglianze ci sono e sono molte, e se domandi quello che non hai capito, e se ascolti bene, e se spieghi quello che non è stato capito, ci si intende a meraviglia. E che soddisfazione allora! Perché la lingua deve unire, non dividere (ma su questa cosa ci tornerò nei prossimi articoli). Per approfondire l’argomento leggi Bolognesi: Le identità linguistiche dei sardi.

Mi ha presentato persone toghissime. Di maestri ne ho avuti due: uno si chiama Fabio, presidente dell’associazione Lingua Bia, l’altro Marco. Sono come dei libri buoni loro due, si fanno leggere piacevolmente, per conoscere la fine sei disposta a saltare qualche pagina, e ti consigliano pure una marea di altri libri. E io adoro i libri che consigliano altri libri. Mi hanno ad esempio parlato di Amos Cardia, autore di S’Italianu in Sardinnia, una persona squisita e preparatissima, mi hanno fatto conoscere Fiorenzo Caterini e il suo La mano destra della Storia e messo in contatto con il mio nuovo maestro di sardo, Ivo Murgia che non te lo presento perché tanto lo conosci, ma ti consiglio il suo ultimo libro Il becchino di Varanasi. A lezione ho incontrato Maddalena, Franca, Nunzia, Veronica e molte altre persone che nonostante parlassero il sardo molto meglio di me, sono pur sempre bellissime persone. Ahah. Con questo non voglio dire che chi parla sardo è una persona migliore, questo non è sempre vero. Voglio dire che quando sti scalzi dal divano e incontri gente vera per davvero, è probabile che possa fare buone amicizie. E il sardo me ne ha consigliato qualcuna.

Mi ha fatto parlare con mia nonna come non avevo mai fatto (e con mia mamma pure). Fabio ce lo ha detto dal primo giorno: per imparare il sardo dovete parlarlo. Lui lo parla in famiglia, a lavoro, con gli amici… io boh. Non avevo nessuno. Cosicché all’inizio parlavo da sola. Sì tipo pazza. Poi ho pensato: vuoi vedere che mamma qualcosa si ricorda? Ok mia madre lo parla benissimo e lei manco lo sapeva. E poi mi sono detta, vuoi vedere che anche nonna se si impegna lo parla bene. Ok mia nonna lo parla meglio di mamma. All’inizio entrambe erano piuttosto reticenti. Nonna mi ha persino detto che le sembrava assurdo, che avevano fatto tanto per farle dimenticare il sardo, e ora a 92 anni, la nipote, “studiata” e scrittrice, le chiede di parlarlo ancora. “Eja nonnixedda aici est”. Ha impiegato qualche giorno ma la cosa le è piaciuta. Ora parliamo sardo tutte le volte che ci vediamo e lei mi dice spesso – Depit donai attenzioni, poita tui unu dì o s’atru, narat calincunu fueddu malu – Devi fare attenzione Claudia, tu uno di questi giorni dici qualche parolaccia parlando in Sardo. E io rido. Ma la vedo fiera: che ora, a 92 anni, lei ha ritrovato la lingua di quando era bambina e la può parlare con fierezza e può pure insegnarmela. Alla faccia di chi le ripeteva fino alla noia che il sardo era spazzatura, e che spazzatura era chi parlava il sardo. E invece no, io ora studio per parlarlo.  Questo a nonna glielo dovevo. Questo a tutti i nonni glielo dobbiamo.

Mi ha insegnato l’arte della sintesi. Una delle prime cose che lessi in merito alle leggende sarde fu questa: sono brevi, poco descrittive, e non dicono più di quello che è necessario. Ora ho capito. Il sardo è una lingua che puoi usare per parlare di tutto, dalla filosofia al social media, ma è una lingua che ama la sintesi, che non si perde dietro i fronzoli, che si concentra molto sul presente e il futuro lo usa solo se si parla di fatti improbabili e lontani, ma molto improbabili e lontani. Tant’è che quando cercherò di tradurre questo articolo in lingua risolverò la cosa in 30 righe.

Contatti

Le cose che mi ha insegnato il sardo sono molte altre ma non ti voglio ammorbare. Quello che voglio fare è consigliarti di seguire questo istinto, se ti ha punto vaghezza.

Io ho frequentato gli incontri di Lingua Bia e ti lascio qui il link del profilo fb: https://www.facebook.com/LinguaBia/. Sono toghi davvero, i corsi costano davvero poco, e oltre ad imparare ti divertirai.

A giorni parte il nuovo corso tenuto da Ivo Murgia: Arrexionadas in sardu. Io ci sarò, tu?

8 Comments
  • Sergio
    Maggio 23, 2019

    Ciao Claudia, sono capitato per caso nel tuo sito; non ricordo come ! Poi ho letto delle tue avventure imparando il sardo. Oh ! Quasi dimenticavo, io vengo da Cagliari, dal ’94 vivo a Melbourne. Le prime difficoltà che hai avuto imparando il sardo, prima di rompere il ghiaccio; l’impaccio, l’insicurezza, la stupidità nel voler imparare il sardo: la lingua degli ignoranti, chi ha solo la 3za elementare parla bene il sardo. Io mi son sempre chiesto come faccia un ignorante a parlare bene, in qualunque lingua! È vero quello che fai detto: se vuoi conquistare un popolo, levagli la lingua e dagli la tua. Se perdi la lingua perdi la tua Storia e un pezzo di te stesso.
    Ciao.
    Sergio

  • Kalaris
    Maggio 27, 2019

    Grazie Sergio, per il tuo commento e per il tuo pensiero! Un abbraccio e a presto con nuove avventure di ed in sardo 🙂

  • daniela @senzapanna
    Gennaio 10, 2020

    Se ci fosse il corso a Roma lo farei!!

    I motivi che hai detto: aprire la mente, ragionare con altre logiche ecc sono alcuni motivi che mi hanno spinta a studiare il giapponese.

  • Kalaris
    Gennaio 17, 2020

    E immagino che tu non te ne sia pentita 🙂

  • Alberto
    Agosto 31, 2020

    Ciao Claudia. Mi è piaciuto molto il tuo racconto in cui con coraggio decidi di riconquistare ciò che in effetti è tuo di diritto. Mi sono immedesimato subito nella tua persona e nelle sensazioni spiacevoli che devi aver provato al tuo primo giorno di lezione. Lo so bene perché in quanto a conoscenza di lingua sarda sto aimé messo malissimo. E in quanto sardo, mi vergogno di non conoscere la lingua della mia gente.
    Hai scritto una frase che mi ha un pó sconcertato. Quando affermi che a tua nonna hanno fatto di tutto per farglielo dimenticare. Da qui mi sembra di capire che nonostante lei e tua madre lo conoscessero, non lo parlassero quasi mai davanti a te. Almeno questo è il pensiero che mi sorge. Non capisco davvero il senso di dimenticare la propria lingua e di negarla ai figli. È un insulto alle proprie radici e uno sputo ai nostri antenati. E mi fa rabbia ripensare alla mia infanzia di come a scuola non ci venisse insegnata la nostra madre lingua. Almeno tu ora hai la fortuna di parlarla con tua madre e tua nonna ed è un vero peccato che non abbiate potuto parlarlo quando eri piccola. Purtroppo per me non ho potuto imparare dai miei nonni, dai miei genitori, ne dà nessun altro. E sapere di non conoscere la propria lingua è una sensazione orribile da farmi sentire un estraneo nella mia terra. Non so. Forse un giorno anche io prenderò coraggio e farò qualche corso così da superare finalmente sa bregungia.
    Un saluto.

  • Galamay
    Ottobre 20, 2020

    Offro una piccola correzione:

    “Depis donai atentzioni, ca a si nunca, tui, una die o s’atra, naras calincunu fueddu malu”

    🙂

  • Galamay
    Ottobre 20, 2020

    Devo anche autocorreggermi…

    “Depi donai atentzioni, ca a si nunca, tui, una die o s’atra, naras calincunu fueddu malu”

    Il primo verbo infatti è nel modo imperativo, che però in sardo (in tutte le varianti) non coincide con l’indicativo, come invece avviene in italiano.

    La t andrebbe scritta sempre singola, perché in sardo la differenza tra consonanti scempie e consonanti geminate non esiste (vengono pronunciate come una via di mezzo, ed è per questo che la pronuncia sarda dell’italiano è tipicamente molto forte, specie per le consonanti t, d, v).

    😀

    https://academiadesusardu.files.wordpress.com/2009/07/arregulas.pdf

  • Kalaris
    Ottobre 26, 2020

    Ti ringrazio per le tue segnalazioni e il tuo tempo. Grazie. Ho così tanto da imparare! Un abbraccio!

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