Ipotesi di Viaggio: Capo Ferrato in primavera con domus a sorpresa

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Quando sei abituato a spremere fino all’ultima goccia le tue giornate libere, quasi fossero limoni tutto succo e niente polpa, cerchi di condensare in poche ore le sorprese e le meraviglie che altri vivono in intere giornate di pigro oziare.

Sarà per questo che domenica, di rientro a casa, esausta e spalmata sul sedile, sorridevo: perché questo è stato un gran bel fine settimana, di quelli ricchi, di quelli che somigliano a un bel cilindro magico. Ci infili dentro la mano e non sai bene cosa tirerai fuori.

Destinazione Castiadas e Capo Ferrato; sono zone che conosco piuttosto bene ma la Sardegna è così, ti sembra di conoscerla e poi all’improvviso ti fa ricredere. Il tour è stato naturalistico, gastronomico e a grande sorpresa archeologico.

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L’isola durante la primavera è tutta location ideale per tour naturalistici: la campagna di Castiadas è ad esempio un tripudio di colore. Demetra quest’anno deve essere proprio felice per il “rilascio” di sua figlia Persefone. Tutto è in festa: api che ronzano, piccoli melograni e mele cotogne che crescono, fiori di carota che sembra ti vogliano abbracciare, margheritine al profumo di camomilla come se piovesse e l’euforbia che è, sulle colline nostrane, nuvola morbida e gommosa, di verde acidulo, di giallo brillante, di ruggine maestosa. Resterei ore a fotografarla, la Sardegna in fiore intendo, perché ogni primavera qui, a casa mia, è diversa. Questo è stato l’anno degli asfodeli e della lavanda selvatica, l’anno passato dei papaveri ballerini,  l’anno prossimo chissà.

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Sabato mattina c’era un certo venticello fastidioso: pazienza ci siamo detti. Siamo volati a comprare le arance, un appuntamento fisso oramai visto che buone come quelle di Muravera non ne esistono altre al mondo. Capatina a “Sa Domu e s’Api” per acquistare del miele, e giretto al mare che era piuttosto adirato. Poco male: il forno sardo mi attendeva. Il resto della giornata è stato tutto gastronomico: non di quella gastronomia che ti servono, parlo di quella che impasti, che annodi, che ti sudi. Sabato ho capito una cosa: se nel forno una qualsiasi ricetta ti viene bene, nel forno sardo ti viene meglio! I panini al latte che abbiamo sfornato erano una vera e propria delizia. Ancora sento il profumo di quelle tenerissime palline di pane. Tutto qui? Non di certo: ho scoperto il segreto de sa cordula (a breve la ricetta su koendi.it): non so se riuscirò mai ad annodarla bene come fa mia madre, ma ci sto lavorando. E per non privarmi proprio di niente ho ben pensato di imparare l’arte della pasta sfoglia. La margarina me l’ha venduta una carissima amica proprietaria di una pasticceria ad Olia Speciosa (Il Mandorlo in Fiore), e mia madre ancora una volta ha fatto da insegnante. Faticoso è faticoso, ma non ti dico la soddisfazione nel vederla bella, ordinata e profumata. Di sera, sdraiata con mio marito e mia figlia ho dato uno sguardo alle foto scattate: una bellissima giornata ho pensato, c’è di che esserne felici.

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Domenica è stata la ciliegina sulla torta: volevo far visita per la centesima volta alla valle dei menhir (di cui ti parlerò presto), ma il caso ha voluto che abbia incontrato un gentilissimo conoscitore della zona che mi ha consigliato di visitare la bella domus che si trova proprio ai piedi del monte di ferro. Non so se hai presente Monte Ferru a Capo Ferrato, ma di certo non è piccoletto: visti i miei dubbi la persona ha deciso di accompagnarci! Io adoro le persone disponibili. Dopo i primi dieci passi di comoda pianura il lentischio ha deciso di ostacolare il nostro passaggio. I rami sono fini e vigorosi, leggermente ruvidi e profumati; liberi di crescere e  selvatici, rinvigoriti dalle nuove piogge hanno creato una intricata rete di foglie e legna elastica, che con una certa fatica ci ha consentito il passaggio. Ero nel bel mezzo di quella bassa macchia mediterranea di cui ho scritto cento volte, e che mille volte ho guardato dal finestrino. Delle capre bianche e nere, sul cuccuzzolo di uno spuntone roccioso ci guardavano masticando lentamente: ridevano di noi, ne sono certa. Con uno sgambettio da ballerina di danza classica sono volate via, e io con una certo più abbondante fatica, ho raggiunto il costone roccioso.

Fermati un attimo qui: guarda il cielo, guarda la pietra, guarda il lichene d’arancio, senti il sole sulla testa, senti il vento fresco, senti il sudore e il tuo affanno, senti la tua terra. “Io non so se riesco a salire fin lassù”, “Ma si che ci riesci!”

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Ci sono riuscita, nonostante soffra di vertigini, nonostante il mio equilibrio sia piuttosto precario, ci sono riuscita. Non so se abbia un nome, ma quella Domus io l’ho chiamata la Domus della T rovesciata. E’ incisa proprio in una delle tre stanze che si vedono, non so se dall’uomo o dal tempo. La Domus piccola e silenziosa non brilla per originalità, ma è il paesaggio che da lì si cattura a renderla un altro piccolo gioiello di Sardegna.

Ho ancora ascoltato il mio respiro, guardato il mare, il lentischio che è una gonna spessa che copre le belle gambe del Monte Ferru e ho pensato che quello sì è davvero un bel posto per riposare eternamente. La discesa è stata più semplice e l’escursione mi è costata solamente un pantalone e un piccolo graffio sul palmo. Chi di dovere potrebbe tracciare un sentiero, mettere in sicurezza la zona, mostrare la bellezza di quell’antico angolo di pace, ma forse è meglio così, che al paradiso non deve essere rubato il silenzio.

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