Medicina dell’occhio: intervista a Francesca

 

malocchioRingrazio la gentile e schietta Francesca che ha deciso di condividere…

«No, la prima volta non la ricordo. È stato tanto tempo fa». Con un pizzico di imbarazzo e con un sorriso largo quanto basta Francesca racconta lucidamente la sua storia. È una donna che vive nell’hinterland cagliaritano, figlia, moglie, madre e nonna, ma a tempo perso operatrice di un mondo magico che ancora oggi sopravvive. Il suo portamento è fiero e il suo sguardo sicuro, di chi ha vissuto pienamente e di rimpianti non se ne porterà dietro poi troppi; la sua ospitalità è tutta sarda.

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Nonna Francesca fin da ragazza è stata abituata a combattere a suo modo uno di quei nemici silenziosi e tremendamente eterei che hanno attanagliato la società , e quella sarda non è stata da meno.   Hanno definito il Malocchio in tanti, in troppi modi, ma sostanzialmente si tratta di un male che prende un individuo e ammala un intero gruppo.

E’ per questo deve essere combattuto. Chiunque ne resti colpito verserà in grave stato di crisi che nei casi più tragici potrebbero culminare con la morte. Una malattia con la quale non si può scherzare.

Credere che il Malocchio esista è più un fatto di fede che di voglia e ad oggi a crederci sono in tanti «in tantissimi», precisa Nonna Francesca «E non fa differenza che siano operai o dottori, quando le cose vanno male, sono in molti quelli che mi chiamano».

Una malattia democratica, dobbiamo dargliene atto che si manifesta in molti modi diversi, ma che ha il potere di influenzare in negativo la vita di ciascuno di noi.

«Quando le cose ti vanno male, quando ti senti sempre stanca, quando la tua attività non va come dovrebbe inspiegabilmente, è probabile che si sia colpiti da malocchio».

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Lei non ha dubbi che il malocchio esista,soprattutto perché lo ha curato tante di quelle volte da non ricordare più la prima. Questa dote le è stata passata dalla nonna, che prossima alla morte si decise a regalare l’arte ad una giovane e bella Francesca, che anni più tardi racconta della cura de s’ogu liau, letteralmente dell’occhio preso. E’ qualcosa a cui Francesca è abituata, ma che evoca nell’ascoltatore un mondo atavico, antico, che ancora vive. «Vedevo farlo a mia nonna, e quando mi ha consegnato la preghiera non ho avuto il minimo timore».

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Nell’era dei portatili, delle connessioni internet e di Facebook, nonna Francesca cura il malocchio con i mezzi semplici. E a ricercare i suoi servigi sono in tanti, sempre. Dopotutto come si può affrontare un male inagguantabile se non con una cura invisibile? Generosamente Francesca mostra come si possa realizzare la medicina dell’occhio, ma prima elenca il necessario: «un piatto, dell’acqua e dell’olio, poi chiaramente c’è la preghiera».

Tentenna appena pensando alla preghiera, ma l’abbiamo già detto Nonna Francesca è generosa, e la preghiera carica di tutto il potere della parola la recita a voce alta. Sarebbe inutile trascrivere le parole che profumano di religione e di santi, visto che «Il potere la preghiera lo acquista una volta passata, ma soprattutto dopo la morte di chi l’ha lasciata in eredità».

La cura è un’alchimia di parole recitate, di croci, di sacralità  profumata d’olio d’oliva, e carica del potere simbolico del numero tre. «Se l’olio compatto galleggia e non si aggrappa ai bordi del piatto la persona non è presa ad occhio, diversamente il malocchio c’è e va tolto». Come? «La medicina va ripetuta per tre volte, in tre giorni e ore differenti e a conclusione la persona è guarita».

Francesca risponde alle domande con la naturalezza e con un italiano chiaro e pulito. Dal suo raccontare trasuda il buon senso di una generazione abituata ai sacrifici, capace di curare anche quel male che non si mostrava. «No, non ho ancora deciso a chi passare la preghiera, non sono così vecchia». Ride apertamente e non nega che la sua arte antica, domani sarà di un’altra nonna, in un circolo di saperi che non finirà. È così infondo che la cultura tradizionale sopravvive di donna in donna.

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