Narcao: le miniere silenziose


Accade così quando si cresce, che si corra a caccia di luoghi che abbiano, nel passato, determinato il nostro presente. Si spera, nel riattraversarli di rivivere il ricordo di un momento mai vissuto.

Narcao è un briciolo del mio passato, la cittadella mineraria di Rosas una fetta intera. Mio bisnonno come molti, moltissimi altri sardi ha vissuto la vita del minatore, e mia nonna come tante altre piccole bambine degli inizi del novecento, ha visto il padre rientrare a casa sporco di pietra esplosa e fatta polvere.

 

Ho attraversato quei sentieri sotterranei, che sventrano il grembo della Madre, in trepida attesa d’una suggestione. Sono umidi quei vicoli, scivolosi nelle pareti che lacrimano, quasi la pietra desiderasse coagularsi, sanare la ferita. Sono freschi d’estate, freddi d’inverno, sono bui eppure oggi illuminati da lampioni bassi e soffusi, romantici come candele sul tavolo di due innamorati.

La terra non ha richiesto in cambio del proprio sacrificio troppe vite alle pendici del Monte Rosas. Pochissimi uomini sono morti, più per sfortuna che per dazio imposto. 

Le facce di alcuni di loro sono impresse in quelle stampe che s’affacciano sul museo della cittadella fantasma, che oggi rivive per merito dei turisti, di qualche festival, di qualche cittadino un tempo minatore che s’ostina a non voler dimenticare il proprio passato. Quel museo lo si ripercorre piacevolmente, proprio come si sfoglierebbe un album di un parente che non si è conosciuto. Ho corso fra i volti di quelle bambine immortalate nel bianco e nero alla ricerca d’un tratto paffuto che mi ricordasse del mio passato. Ma niente, lei, mia nonna, Barbara, non c’era. Eppure c’è stata.

L’ho sentita chiaramente in quella salita d’accesso che conduce alla Galleria Barbara e alle piccole casette dei minatori. Oggi sono alloggi piccoli ma buoni, per i visitatori che vogliono respirare la pace del Sulcis e guardano il turista sorpresi da quel silenzio nuovo che anima la montagna.

 

Quella rampa di cemento colato arranca fino alla cima d’una piccola collinetta. E’ tutta costeggiata d’elicriso profumato. Nonna amava l’elicriso, ma non mi ha mai raccontato dell’elicriso che cresce a Rosas. Forse è per questo che amo tanto quella fragranza di liquirizia, quel giallo torbido dei fiori spontanei e quel verde azzurro delle foglie brevi e strette. Fa parte dei miei ricordi, di quelli non vissuti, ereditati ma mai raccontati. E’ stato fin troppo facile immaginare mia nonna risalire quel sentiero pesante e respirare a pieni polmoni il profumo della Sardegna spontanea.

Nella mia immagine è avventata Barbara, come non lo è mai stata in vita, e al braccio porta la borsettina di pane che le veniva preparata per Pasqua. E’ bella in quell’immagine mia nonna. 

 

Ricordi nostri, ricordi d’altri, siamo fatti di questo d’altronde.

 

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