Natale: festa della luce

 

La tradizione è custodia del fuoco, non adorazione della cenere. Gustav Mahler

Candele ovunque, luminarie, intermittenze, fuochi d’artificio. Tutto è scintillante durante il natale, festa della luce, festa di rinascita del sole.

La tradizione sarda è sempre molto generosa nei confronti delle feste. Normalmente c’è tripudio di fuochi, esagerazione di produzione dolciaria, balli, allegria, attenzioni particolari, leggende insolite, insomma normalmente c’è qualcosa da scoprire.

Bene per Natale le cose non stanno così. C’è davvero poco da raccontare, se si eccettua qualche pane che tradizionalmente viene confezionato in occasione della festa (leggi qui), e qualche tradizione un po’ macchinosa che ha a che fare con la chiesa e le messe. Ho sempre avuto idea che natale fosse una festa di secondo piano nella Sardegna tradizionale, una festa che si festeggiava ma che non aveva radici troppo antiche. Pensa al nome: Natale è Paschixedda, Pasqua invece è Pasca Manna.

In effetti se intendiamo il Natale come festeggiamento della nascita di Cristo le cose stanno proprio così.

Stai a sentire cosa ho scoperto.

 

La nascita di Cristo

Che Cristo sia nato il 25 di dicembre risulta esclusivamente da un calendarietto liturgico in uso a Roma datato 326 dopo Cristo ovviamente. L’affermazione è lapidaria “Natus est Christus in Betleem Judaeae” punto e a capo.

Eppure l’affermazione deve fare un certo scalpore visto che i vangeli raccontano una storia diversa. Tanto per cominciare da nessuna parte è scritta una data precisa, ma nel suo vangelo Luca ci dice che quando Cristo è nato c’erano in Betleme alcuni pastori che vegliavano di notte, facendo la guardia al gregge.

L’informazione è sufficiente per determinare il periodo. Questo genere di controllo delle greggi avveniva e avviene ancora oggi in Palestina tra la primavera e l’autunno. I pastori partivano all’inizio della primavera con i propri animali e facevano ritorno a casa durante l’autunno: dovrebbe essere evidente dunque che Cristo sia nato fra marzo e i primi giorni dell’autunno.

Non è un caso che fin al principio del IV secolo la nascita di Cristo veniva festeggiata il 28 marzo, il 18 aprile o il 29 maggio a seconda delle località.

Quella che oggi noi festeggiamo come Pasqua (Pasca Manna in Sardegna) è ad esempio un antico ricordo di cerimonie arcaiche che si tenevano la notte del plenilunio successiva all’equinozio di primavera per proteggere pastori e gregge da influssi demoniaci.

Si deve risolvere che quella del 25 dicembre sia una data simbolica, storicamente non sostenibile.

 

Natale e Solstizio d’inverno

Il tentativo della chiesa è palese: ha tentato, con enorme successo c’è da dirlo, di legare la nascita di Cristo al solstizio d’inverno, festività molto sentita in tutto l’impero romano e pure altrove.

Il 25 dicembre si festeggiava ai tempi di Aureliano il Natale dell’Invitto e invitto era il Sol Invictus, una divinità solare importata dallo stesso imperatore. I festeggiamenti in onore di Sole in verità erano ben più antichi da attribuire all’influenza della religione mitraica che aveva grande presa fra la popolazione.

Qualche giorno dopo la rinascita di Sole Aureliano aveva deciso dunque di fissare i festeggiamenti per la nascita del Sole Invitto, il sole nuovo. I festeggiamenti erano a base di fuoco, cerimonie, giochi corse di carri. Qualcosa di molto simile al nostro Capodanno. Sembra che in molti, anche cristiani, rimanevano letteralmente a bocca aperta davanti a quei festeggiamenti. La chiesa intese con rapidità il pericolo rappresentato dai culti solari, in special modo dal mithraismo e probabilmente per tamponare il problema decise di festeggiare lei pure una nascita il 25 dicembre, non del sole, ma di Cristo.

La sovrapposizione d’altronde non dovette sembrare del tutto impropria visto che Cristo fin da subito era stato definito dai profeti come la nuova luce e il nuovo sole. Eppure ancora nel V secolo molti cristiani prima di entrare nella basilica di San Pietro il 25 di dicembre si voltavano e salutavano il sole, piegando la testa o inchinandosi.

 

Le strenne della Dea Strenia

Anche la magia delle strenne ha un non so che di pagano, e questo mi diverte moltissimo. A Roma infatti il primo giorno del mese dedicato a Giano, Gennaio i romani erano soliti invitare a casa per pranzo amici. Con questi ci si scambiava in dono del miele, datteri e fichi “perché il dolce passi anche alle cose e l’inizio del nuovo anno sia dolcissimo”. Il tutto era accompagnato da rametti di alloro detti strenae, come augurio di fortuna e felicità.

I rametti di alloro venivano tagliati in un boschetto che si trovava sulla Via Sacra, dedicato a Strenia, una dea di origine Sabina ritenuta apportatrice di fortuna e felicità.  Lentamente strenae furono regali di vario genere e addirittura monete.

Oggi le strenne in Sardegna e pure altrove sono i regali, ma è sorprendente ricordare che sull’isola molti doni dolci vengono posati su un letto di alloro. Prendi ad esempio il pane’è saba. Ora sappiamo perché.

Detto questo ti saluto, mi auguro di averti regalato più consapevolezza e più amore per questa antichissima festa.

Niente è da sempre, niente è per sempre. Noi che stiamo nel mezzo abbiamo il dovere e il diritto di sapere cosa c’è stato prima, e ipotizzare cosa verrà dopo.

Bona Paschixedda!

 

Per approfondire

Lunario di Alfredo Cattabiani

Calendario di Alfredo Cattabiani

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