Tracce dell’anasyrma nel Carnevale di Bosa

Tracce dell’anasyrma nel Carnevale di Bosa

Bosa – Preparazione al carnevale 2023 – Photo Credit Gianni Pintore

E’ da tempo che studio il costume dell’anasyrma e del riso rituale ad esso connesso, e da tempo ero alla ricerca di qualcosa che me lo potesse far individuare in Sardegna.

Credo di aver individuato in Bosa e nel suo carnevale un ricordo di questa pratica. Seguimi: ti racconto tutto.

Il carnevale a Bosa

Non sono un’amante dei carnevali “moderni”, e nonostante quello che Mario Atzori, Gabriella Da re, Gabriella Satta nel 1975 scrivevano in Note sul Carnevale a Bosa “Molti partecipanti, specialmente i più giovani, non erano capaci né di fare l’attiditu, né di comprenderne la polivalenza di significati. La proposta della Pro Loco è risultata calata dall’alto nell’incentivare un uso del carnevale ormai morto e che gli stessi protagonisti, o almeno molti di essi, non erano in grado di gestire. D’altra parte i gruppi spontanei, hanno sconvolto la scansione delle sequenze del carnevale. Non si può non rilevare la progressiva scomparsa delle forme tradizionali forzosamente reintrodotte e il maggior successo di quei gruppi spontanei di maschere che si riallacciavano a una realtà quale quella dello spettacolo televisivo o della satira politica ormai più vicina e sentita”, gli aspetti più tradizionali del carnevale di Bosa sono sopravvissuti fino ad oggi e si prestano a osservazioni interessanti.

Non parleremo in questa sede della mascherata del martedì mattina dedicata alla lamentazione funebre, s’atitidu appunto, mi concentrerò sulla mascherata del martedì notte interamente dedicata al Giolzi.

Bosa – Carnevale 2023 – Photo Credit Gianni Pintore

L’anasyrma: esposizione rituale dei genitali

Prima di procedere con l’analisi della mascherata del martedì notte in Bosa credo sia utile dare qualche informazione in merito al costume dell’anasyrma e del riso rituale, un tempo noto in tutto il mondo.

Fra i primi a parlare di anasyrma ci fu Erodoto, che nel V secolo a.C. lo attesta per l’Egitto. Descriveva la società egiziana come “al contrario”: lì le donne commerciavano e gli uomini tessevano, diceva lui e affermava che l’esposizione dei genitali era parte integrante delle credenze religiose. Chiamava il costume alla maniera greca (aná: su o contro o in dietro, e syrma: gonna) e se ne diceva sorpreso per quanto, oggi lo sappiamo bene, nel suo mondo l’anasyrma non era certo sconosciuto.

Quattrocento anni più tardi di anasyrma parla anche Didoro Siculo. Siamo nel 60 a.C a Menfi, dove può assistere all’anasyrma rituale in occasione della sostituzione del toro sacro. Qui le sacerdotesse, per rendere adatto il toro praticavano l’anasyrma: sollevavano le proprie gonne e lo esponevano alla vista della propria vulva.

La più famosa attestazione di anasyrma ce la regala forse il mito greco: Demetra è in preda alla depressione. La figlia rapitale non le è stata restituita nonostante tutti i suoi sacrifici. Sicché la Dea che in questo caso si presenta incredibilmente umana, vaga disperata per la terra: è in lutto, è come un’atitadora, mi vien da pensare. Forse non è un caso che a Bosa, prima di praticare l’anasyrma si metta in scena il pianto rituale. Piange dicevamo, e rifiuta il cibo, rifiuta l’acqua, perde energia e la terra che di lei è estensione inaridisce e si fa infeconda.

La saggia Baubo è l’unica che sa come rimettere in moto le energie. Solleva le sue vesti e mostra la vulva a Demetra.

Il gesto non ha niente di sessuale e/o erotico come un contemporaneo potrebbe pensare: a noi il senso dell’anasyrma sfugge. A Demetra no. E fa quello che Baubo sapeva avrebbe fatto. Ride. Meravigliose Dee pagane.

Il riso qui è rituale, è riso della divinità, quello che rimette in moto le energie stagnanti, di morte. Qui il ridere mostra tutto il suo potere che è oggettivamente portentoso, anche quando sta nella bocca di un comune mortale.

Quello dell’anasyrma è chiaramente un mitologema, un modello archetipo che, arricchito da elementi propri di una cultura, dà origine al mito. Lo ritroviamo in Australia, nel Mediterraneo tutto, finanche Giappone. E lo ritroviamo anche in Sardegna, nel carnevale di Bosa.

Bosa – Carneeale 2023

La fuga del Giolzi

La notte del martedì grasso in tutta Bosa Giolzi è ovunque ed è in fuga. Verrà catturato e sacrificato, ma per ora è in fuga. Tutti si mascherano da Giolzi e tutti cercano il Giolzi. Giolzi è tutto ed è uno (ti ricorda qualcosa?). C’è chi lo definisce la personificazione del Carnevale, ma Giolzi è uno spirito, è un’anima in fuga, è un potere che benedice, è la vita stessa.

La Sardegna d’altronde non è nuova a questo genere di caccie: durante il ciclo di San Giovanni, ad esempio, si da(va) la caccia a Sa Mama de su Trigu: anche lei si nasconde e anche lei viene trovata e custodita per un anno intero. Si nasconde nell’ultimo fascio di grano raccolto e quel fascio di grano sarà sacro per un intero anno e per un intero anno verrà usato per confezionare medicine e amuleti.

Giolzi non si nasconde nel grano, si nasconde in tutti i partecipanti alla festa: negli uomini e nelle donne. Nella ricerca del 1975 Atzori, Da Re e Satta non avevano dubbi, più della metà di Bosa si maschera da Giolzi e non importa il sesso, l’età o il ceto sociale. Tutti sono Giolzi. Tutti sono posseduti dallo spirito di Giolzi. La maschera è semplicissima: consta di una federa, di un lenzuolo e di un lampioncino. Il viso è semplicemente pitturato di nero.

Tutti i Giolzi cercano il Giolzi che non si nasconde nel grano, lo abbiamo già detto, ma nel sesso delle persone. Si hai capito bene nella vulva e nel pene delle donne e degli uomini.

La lanterna serve proprio a questo: a cercare nel pube degli appartenenti al sesso opposto, il Giolzi, la vita.

E quando finalmente lo si trova si grida qualcosa del tipo Ciappadu l’happu! Damilu! Inue est Giolzi! L’ho preso! Dammelo! Qui è Giolzi! E il riso chiude la scenetta.

Per quanto l’esposizione rituale del sesso non si ponga più in atto, in toto almeno, il sollevamento delle vesti c’è, eccome se c’è. E il riso rituale pure.

Bosa – Carnevale 2023

Carnevale: il tempo degli atteggiamenti licenziosi

Descrivere il carnevale come momento nel quale si attuano scene licenziose, ci si lascia andare all’anomalo, è palese dimostrazione di come oggi l’anasyrma sia rito collettivo dimenticato. Il sesso non veniva mostrato (o cercato in questo caso) perché il carnevale è un momento in cui socialmente tutto è lecito. Il sesso veniva mostrato perché il sesso esposto ri – porta la vita, allontana la morte (detta poi demonio), le tempeste e la fame, benedice e santifica. Questo ce lo hanno fatto dimenticare a suon di sinodi. Quando l’uomo contemporaneo dimentica l’anasyrma, il carnevale diventa un momento di concessioni sessuali, questo è vero, ma il racconto precedente era diverso.

Giolzi e la sua ricerca rimettono in moto le energie rese stagnanti dall’inverno. Da lì in poi sarà primavera.

Bosa – Carnevale 2023

Il fuoco e la fine di Giolzi

Merita un’analisi anche la morte di Giolzi per mezzo del fuoco, uno strumento non casuale: il fuoco che brucia libera le energie. Il potere di Giolzi arso è reso disponibile a tutti quelli che assistono al rito, a tutti quelli che consapevoli o inconsapevoli, con le sue ceneri si macchiano la fronte e le guance portando indosso il segno di Giolzi, della vita.

La fine della festa è triste come ogni arrivederci. A tarda notte Giolzi è scomparso, morto, arso vivo, ma non prima d’aver visitato e forse benedetto il sesso di tutte le donne e di tutti gli uomini che hanno partecipato al rito collettivo. E la vita che bacia il sesso delle donne e degli uomini è davvero l’unico modo che la mia specie conosce da millenni per sopravvivere.

E nel carnevale questo sapere è ben scritto.

Fonti

Atzori M., Da Re G., Satta G., Note sul carnevale a Bosa – Brads 1975/6 pg 33 – 42

Catherine Blackledge, Storia di V. Biografia del sesso femminile, Il saggiatore Tascabili 2005

Károly Kerényi, Prolegomeni allo studio scientifico della mitologia, Torino: Boringhieri, 1983

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